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Bce

Che cosa non cambierà nella politica monetaria della Bce

Bce, prosegue la stretta monetaria. Inflazione più importante della riduzione della crescita. L’analisi di Roberto Rossignoli, Portfolio Manager Moneyfarm Il meeting di giovedì scorso della Banca Centrale Europea (Bce) ha portato alcune interessanti novità sul fronte della politica monetaria europea. Andiamo con ordine. Oggi erano quattro le componenti da monitorare con attenzione: decisione sui tassi…

Il meeting di giovedì scorso della Banca Centrale Europea (Bce) ha portato alcune interessanti novità sul fronte della politica monetaria europea. Andiamo con ordine. Oggi erano quattro le componenti da monitorare con attenzione: decisione sui tassi d’interesse, aggiornamento sulle proiezioni economiche ufficiali dell’istituto, direzione dei programmi di acquisto titoli e conferenza stampa. I tassi d’interesse non sono stati alterati, come da attese. Ma sul resto le sorprese non sono state poche.

Partiamo con le proiezioni. Per il 2022 la crescita economica dell’Eurozona è stata rivista al ribasso, da 4.2% a 3.7%, e ancor più grande è stato il cambiamento sull’inflazione, rivista al rialzo da 3.2% a 5.1%. Questo cambio nelle proiezioni ha conseguenze profonde sulle decisioni di politica monetaria e, in questo contesto, non stona la decisione di accelerare sulla riduzione degli acquisti di titoli di stato, anche se certo sorprende gli investitori che si aspettavano che la Bce desse forse più peso alla riduzione delle prospettive di crescita che all’aumento delle spinte inflazionistiche. L’unico spunto positivo arriva dal fatto che qualunque decisione si prenderà sul rialzo dei tassi d’interesse, essa non avverrà subito dopo la fine del programma di quantitative easing, ma sarà graduale.

La conferenza stampa non ha aggiunto molto a una decisione percepita comunque come hawkish. L’impatto della guerra e della conseguente crisi energetica è più pericoloso per l’inflazione e, in questo contesto, la Lagarde considera naturali le mosse volte a normalizzare la politica monetaria, prendendo le distanze dall’idea che l’ultimo annuncio rappresenti una decisa stretta.

Con la riunione di marzo l’istituto di Francoforte ha quindi deluso le aspettative di chi sperava in un accantonamento, almeno parziale, della riduzione nell’acquisto di titoli da parte della banca centrale. Anzi, un’accelerazione sulla diminuzione dei programmi di allentamento quantitativo appare ormai più una certezza che una possibilità. I mercati si stanno comportando come era lecito aspettarsi in questo scenario: l’Euro si è rafforzato contro il Dollaro, mentre i tassi d’interesse sono saliti con gli spread dei paesi periferici in allargamento. Un rialzo dei tassi è ormai scontato già dal quarto trimestre.

Questo tipo di retorica ha sorpreso molti operatori, che si aspettavano forse una frenata sulla stretta monetaria, data l’esposizione dell’Europa a possibili traumi derivanti dalla guerra. Lo spettro della stagflazione si fa strada nelle menti degli investitori e getta un’ombra di ulteriore incertezza sull’economia europea.

Intanto da Oltreoceano i dati più recenti sull’andamento dei prezzi al consumo confermano che nessuna geografia è al riparo da questo trend globale. L’inflazione si è confermata al 7.9% annuale, al massimo da 40 anni e, coi prezzi delle materie prime in continua salita, la normalizzazione appare ancora tutt’altro che immediata.

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