Dopo quasi due anni di crescita sostenuta dei prezzi, le famiglie, le imprese e le banche centrali cominciano a vedere la minaccia inflazionistica in una luce diversa. Un dato importante è l’ampio consenso che si è creato intorno alla previsione di un’inflazione elevata per un periodo prolungato. I prezzi delle materie prime alimentari ed energetiche lasciano presagire un ulteriore calo dell’inflazione complessiva in futuro. Infine, non dimentichiamo che il persistente rischio di recessione costituisce un potenziale fattore di disinflazione.
Argomenti a favore di un’inflazione superiore al target
La concomitanza di stimoli fiscali aggressivi, allentamento monetario, stravolgimenti delle catene di fornitura e restrizioni senza precedenti della mobilità ha minato notevolmente, rispetto ai livelli pre-Covid, la fiducia degli analisti nella capacità delle banche centrali di mantenere l’inflazione in linea con il target. I modelli attuati dalle banche centrali del G7 in un contesto pre-Covid potrebbero non essere più adatti allo scopo e le aspettative su eventuali conseguenze politiche, derivate dalle misure di austerità fiscale per rientrare dagli shock inflazionistici post-pandemici, confondono ulteriormente le acque.
L’inflazione è un processo di scoperta
Dopo la pandemia sembra che l’opinione pubblica abbia reagito agli alti dati sull’inflazione dapprima ignorandoli e con diniego, poi con sorpresa e accettazione. Adesso l’adattamento mentale alle variazioni dei prezzi sta raggiugendo lo stadio successivo. L’inflazione, soprattutto quando parte da livelli vicini a zero e finisce nel dimenticatoio, come nell’era successiva alla grande crisi finanziaria, è un processo di scoperta. La maggior parte delle persone attualmente coinvolte nella vita economica non ha esperienza di un periodo prolungato di aumento dei prezzi e dei tassi d’interesse. Siamo dunque in presenza di un processo di risveglio e adattamento delle aspettative. Abbiamo assistito a una ripresa dell’inflazione in aree non colpite dagli shock dell’offerta derivanti dalla pandemia, semplicemente a causa della diffusione della narrazione inflazionistica attraverso svariati canali mediatici. Questo processo da solo ha creato ansia e paura, provocando un rapido aumento delle apprensioni sociali e politiche. Anche se l’inflazione complessiva diminuisce, le richieste di aumenti salariali potrebbero persistere, mantenendo l’inflazione core elevata e frenando il calo del tasso complessivo.
Banche centrali sotto pressione
Benché il potenziale rischio politico abbia indotto risposte proattive da parte di istituti come la Bank of Canada e la Reserve Bank of Australia, per molte altre banche centrali l’inflazione elevata reintroduce implicitamente timori riguardo la loro indipendenza. In particolare, si percepisce una certa riluttanza a ostacolare le prospettive di crescita a breve termine per non rischiare ritorsioni politiche, soprattutto in contesti polarizzati come quelli dell’Europa centrale e orientale. Certo, le banche centrali che tollerano modesti sforamenti del target d’inflazione potrebbero favorire ulteriormente il risanamento dei conti pubblici post-Covid.
Argomenti a favore di un’inflazione in linea con il target
Esistono anche argomenti a favore di un calo dell’inflazione. In primo luogo, si rileva un apparente cambiamento della psicologia dell’inflazione. Anziché aspettarsi una crescita dei prezzi sempre più veloce, i sondaggi indicano una svolta disinflazionistica nel sentiment dell’opinione pubblica. L’inflazione percepita potrebbe giocare un ruolo in tal senso. Alcune componenti dell’inflazione sono più visibili di altre. Un esempio è dato dai prezzi della benzina, un altro dai prezzi dei generi alimentari. Sebbene siano considerati meno rilevanti per il ciclo economico, questi prezzi influenzano le aspettative d’inflazione a breve termine. In effetti, l’inflazione attesa a 12 mesi è diminuita e le indagini sui consumatori negli Stati Uniti e nell’Eurozona indicano ora un’aspettativa del 4% o meno. Queste aspettative sono ora inferiori ai livelli di crescita dei salari. La ricerca della Fed suggerisce che le aspettative d’inflazione influenzano le richieste salariali. Se dovesse proseguire, questa recente tendenza potrebbe raffreddare le componenti più vischiose dell’inflazione attraverso una minore crescita dei salari.
Effetto ritardato della stabilizzazione degli affitti
Un altro motivo per cui l’inflazione (statunitense) potrebbe rallentare ulteriormente risiede negli effetti ritardati dei minori aumenti degli affitti. Questo vale per gli Stati Uniti, dove i nuovi contratti di locazione immobiliare hanno iniziato a evidenziare aumenti di prezzo molto più contenuti a partire dal secondo trimestre 2022. Tuttavia, questi nuovi contratti hanno un effetto parziale o ritardato di tre-quattro trimestri sugli affitti nel paniere del CPI. Dato l’elevato peso degli affitti nei panieri del CPI, soprattutto negli USA, un rallentamento sostanziale in questa categoria può facilmente portare a una riduzione dell’inflazione dell’1-2%.
Implicazioni di mercato
Le banche centrali sembrano attualmente restie a impostare la politica monetaria sulla base dell’inflazione futura attesa (ossia in un’ottica lungimirante) e preferiscono invece fare riferimento alle tendenze inflazionistiche sottostanti (con un approccio leggermente retrospettivo). Per quanto riguarda la psicologia degli analisti, l’idea di un’inflazione core elevata per un periodo prolungato sembra riscuotere grande consenso. Tuttavia, vediamo con maggiore probabilità uno scenario in cui il calo dell’inflazione complessiva e l’indebolimento della crescita economica, insieme a un’ulteriore stretta monetaria, riescono a riportare l’inflazione core vicino al target entro la fine del prossimo anno in molte economie. La variabilità a livello geografico rimarrà senz’altro pronunciata, con alcune regioni (ad esempio l’Europa dell’Est) e paesi (ad esempio il Regno Unito) probabilmente in ritardo in questo processo o incapaci (ad esempio la Cina) di generare sufficienti pressioni sull’inflazione di fondo.
Per quanto riguarda le prospettive d’inflazione su un orizzonte secolare (anziché ciclico) – per il quale sono stati reputati più importanti driver quali la produttività, l’invecchiamento demografico, la digitalizzazione, la robotizzazione e l’intelligenza artificiale, nonché le catene di fornitura globali – preferiamo restare umili. Inoltre, vale la pena di ricordare che, secondo il mercato delle opzioni, l’incertezza sul livello dell’inflazione USA tra cinque anni si colloca sui massimi dell’ultimo decennio e oltre. Detto questo, se consideriamo il differenziale forward tra i rendimenti delle obbligazioni convenzionali a lungo termine e quelli dei bond indicizzati all’inflazione nell’Eurozona (pari a quasi il 2,80%), e lo mettiamo a confronto con il target d’inflazione del 2% della BCE, non possiamo fare a meno di pensare che i mercati finanziari potrebbero essere stati troppo precipitosi nello sposare l’ipotesi di un’inflazione più elevata su un orizzonte secolare. In effetti, non è da escludersi che le aspettative d’inflazione di alcuni investitori siano il frutto di semplici stime.