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Che cosa ha combinato Loro Piana?

Loro Piana: l'inchiesta della procura di Milano, la filiera dell'abbigliamento e le polemiche. L'approfondimento di Stefano Feltri tratto da Appunti

 

La vicenda del marchio di lusso Loro Piana messo in amministrazione giudiziaria ci dice molto di come funziona il capitalismo italiano, o meglio, di come funziona l’Italia.

È una storia che dimostra perché in questo Paese può essere molto redditizio avere un approccio estrattivo: succhiare le energie vitali dall’economia e dalle persone, invece che produrre davvero valore aggiunto.

E questo è possibile e redditizio perché ci raccontiamo una serie di bugie su chi siamo, sulle nostre eccellenze che rendono invisibile, o irrilevante, quello che invece è sotto gli occhi di tutti.

Insomma, la vicenda Loro Piana dimostra che l’Italia è prigioniera di una narrazione perversa che alimenta l’illegalità e spinge verso il declino.

LA CATENA PRODUTTIVA

Nel 2013 la famiglia di Vercelli Loro Piana ha venduto l’80 per cento dell’azienda al gruppo francese del lusso LVMH, in una decisione che all’epoca fece molto scalpore: un pezzo del made in Italy di più alta qualità viene assorbito dai soliti francesi pronti a prendersi il meglio del capitalismo italiano, forti di un appoggio politico che manca alle imprese italiane.

Tutte le irregolarità contestate oggi a Loro Piana però sono italiane, e probabilmente sono possibili soltanto in Italia.

Anzi, forse sono necessarie soltanto in Italia perché bisogna raccontare ai clienti finali disposti a spendere 1.200 euro per una camicia che certa qualità è possibile soltanto qui, mentre agli azionisti bisogna dimostrare che i margini su ogni capo sono gli stessi che si avrebbero producendo in Cina.

Insomma, viene un dubbio. Forse la vicenda di Loro Piana – e le altre scoperte dalla procura di Milano – dimostrano che quel tipo di Made in Italy è possibile soltanto a quelle condizioni.

Cioè, se una camicia venduta a 1.200 euro costasse – tra produzione e marketing – 1.200 euro, non sarebbe un grande affare. Ma se ne costa poche decine, allora sì che il Made in Italy diventa un investimento allettante.

Per quanto sembri un paradosso, il Made in Italy nella moda è redditizio proprio grazie al fatto che – da qualche parte nella catena produttiva – qualcuno viene sfruttato, e non nonostante questo sfruttamento.

Rimettiamo in fila i fatti. Il tribunale di Milano ha disposto l’amministrazione giudiziaria di Loro Piana: in pratica un amministratore dovrà verificare contratto per contratto i rapporti con i fornitori, per mesi, per assicurarsi che tutto avvenga in modo regolare.

La procura di Milano, con il pm Paolo Storari, ha infatti chiesto e ottenuto l’amministrazione giudiziaria sulla base di un’indagine che ha scoperto un sistema di subappalti del quale Loro Piana sostiene di non essere stata consapevole.

L’azienda affidava una parte della produzione alla Evergreen Fashion Group, con una sede in centro a Milano, zona Sant’Ambrogio, ma senza le strutture produttive per garantire la commessa.

Infatti la Evergreen girava gli ordini alla Sor Man di Nova Milanese, che poi si appoggiava ad altre due aziende, la Clover Moda a Baranzate e la Dai Meijing a Senago, che invece avevano operai e macchinari.

I lavoratori erano in prevalenza cinesi senza permesso di soggiorno e dunque senza contratto e senza diritti, e ai macchinari erano state tolte le protezioni di sicurezza in modo da aumentare la produttività.

Nello stabilimento clandestino della Clover i carabinieri sono arrivati in seguito alla denuncia di un operaio cinese sfruttato e picchiato dal titolare occulto, Hu «Stefano» Xizhai, e hanno scoperto che lì si producevano le giacche Loro Piana da consegnare alla Evergreen.

Teresa Provenzi è la contitolare della Sor Man, il livello intermedio tra Evergreen – cioè l’azienda cui si rivolgeva Loro Piana – e le fabbriche cinesi clandestine. A verbale ha spiegato come si è arrivati a questo punto:

“Ho iniziato a produrre Loro Piana dall’anno 2000, all’inizio producevamo 200 giacche a stagione poi gli ordini sono aumentati fino ad arrivare a 3000 giacche a stagione.

Fino all’anno 2021 producevamo tutto noi, successivamente dopo avere ridotto il personale, perché sia io che mio marito siamo andati in pensione e non credevo di continuare ancora, ho iniziato ad esternalizzare la produzione perché la mia azienda non aveva più la capacità organica e materiale, ovvero ridotto anche i macchinari che, come potete vedere, sono pochi e come vi ho già detto non tutti in utilizzo come, per esempio, quelle al piano interrato non sono in utilizzo da un anno.

I volumi erano alti circa 6.000-7.000 giacche l’anno per Loro Piana e io per mantenere il cliente ho esternalizzato a cittadini cinesi: la società Clover Moda e la Dai Meiying”.

La produzione per Loro Piana si interrompe proprio dopo l’arresto del titolare della Clover.

Come sempre in questi casi, Loro Piana – con i suoi avvocati – ribadirà che non sapeva niente, le aziende appaltatrici e subappaltatrici per difendersi diranno che tutti sapevano tutto.

A verbale, la signora Teresa Provenzi della Sor Man, la pensionata che non voleva rinunciare al suo lavoro, ha già detto che

“Per Loro Piana il costo pattuito era 118 euro a giacca se la commessa era superiore a 100 capi, se inferiore, ma questo era raro, il prezzo era 128 Euro a capo.

Per quanto riguarda la contrattazione sul prezzo io chiedevo una somma, loro naturalmente andavano al ribasso e poi trovavamo un accordo. Io pagavo alle società cinesi 80 Euro al pezzo se non facevano il taglio, 86 Euro con il taglio.

Poi in base alle altre lavorazioni il prezzo poteva oscillare di 5 o 10 Euro. I volumi di produzione erano di circa 6.000/7.000 capi l’anno, anche se, nell’ultima stagione primavera estate 2025, era diminuita a circa 2000 capi.

Preciso, inoltre, che la Loro Piana è venuta presso la mia azienda diverse volte a fare audit, che vi consegno”.

La Procura, in effetti, ottiene copia di un audit fatto per conto di Loro Piana dalla società Nexia Audirevi.

Come sempre in questi casi, non spetta ai giornalisti ipotizzare se ci siano reati e quali debbano essere le pene, ma sulla base dei fatti già accertati fin qua possiamo fare alcune considerazioni su cosa ci dice questa inchiesta del cosiddetto Made in Italy.

TUTTI POSSONO SAPERE

La Procura di Milano è arrivata a Loro Piana anche perché ha ormai sviluppato un metodo che l’ha portata a condurre inchieste analoghe su Armani Operations, che è stata per mesi in amministrazione giudiziaria e ora ne è uscita, Valentino’s Bags, Alviero Martini, Dior.

Il Foglio, giornale sempre pronto a difendere le aziende dagli accertamenti giudiziari, chiede addirittura l’intervento del Consiglio superiore della magistratura e del ministero della Giustizia contro la procura di Milano per fermare la crociata contro l’onesta imprenditoria che opera in Italia.

Molte altre testate sono caute, anche perché Loro Piana e in generale il settore moda è fonte di preziose quanto rare inserzioni.

Il punto che emerge leggendo le carte dell’inchiesta è che sì, in effetti, ormai la Procura di Milano ha un metodo di indagine. Che dimostra due cose: che queste forme di illegalità sono diffuse e che chi vuole sapere può sapere tutto.

Il Made in Italy e in particolare la moda sono ad alta intensità di manodopera: servono braccia, occhi, teste, per fare le giacche, le camicie, le borse. E se quelle braccia, quegli occhi e quelle teste sono l’eccellenza nel settore, avranno un costo elevato.

Dunque, quando Loro Piana esternalizza la produzione alla Evergreen che la passa alla Sor Man e nessuna di queste due aziende ha gli operai sufficienti per realizzare i capi richiesti, significa che di fatto sta esternalizzando la responsabilità di farli produrre a condizioni diverse da quelle della presunta eccellenza.

La Sor Man aveva sette dipendenti, come faceva a consegnare 6.000 giacche all’anno?

Anche la Procura, o gli ispettori dell’INPS, o chiunque può scoprire dove sono le irregolarità: il metodo dei pm milanesi è considerare i consumi energetici.

Così si capisce se uno stabile accatastato come magazzino è in realtà un laboratorio tessile, e così si ha una prova incontestabile dei veri orari di lavoro.

La Dai Meiying assorbiva in media 1,5 kWh tutti i giorni, sabato e domenica compresi. Dalle curve dei consumi si può dedurre che l’orario di lavoro fosse dalle 8.45 alle 21.45.

Nei titoli su molti siti si parla di caporalato, che certo è una parte di questa storia. Ma la vicenda Loro Piana, così come quella di Armani, di Valentino, di Dior, è molto più stratificata e intreccia tutte le contraddizioni del nostro modello di sviluppo italiano.

Ci sono aziende del Made in Italy che in realtà non sono italiane ma sono di proprietà di grandi gruppi con azionisti interessati soltanto a capitalizzazione di Borsa e dividendi.

Ci sono i padroncini italiani, che vivono nel mito della propria operosità, che lavorano anche dopo la pensione, ma che guadagnano soltanto perché passano il lavoro agli sfruttatori cinesi.

Ci sono camere di commercio, associazioni di categoria, l’Inps, l’Inail, il ministero del Lavoro che hanno tutte le informazioni da incrociare per capire se qualche azienda fa nero, non paga gli operai, o emette fatture per prestazioni fantasma.

Ci sono questi poveretti costretti a lavorare per anni dodici-tredici ore al giorno, per pochi euro, in fabbriche dove devono anche dormire, invisibili, trasformati in schiavi dalla loro condizione di immigrati irregolari.

L’unico eroe di questa storia è proprio l’operaio cinese che dopo dieci anni – dieci! – di vessazioni ha denunciato il suo sfruttatore alla Clover, dopo che questi lo aveva picchiato con un tubo di plastica e alluminio per una controversia sul misero stipendio pagato in contanti.

E poi, in questa vicenda, ci siamo noi, che magari vorremmo permetterci un completo Loro Piana, e che se non possiamo comprarlo almeno ci crogioliamo nell’idea di vivere in un Paese che produce bellezza ed eleganza che tutto il mondo ci invidia.

Il Made in Italy è una favola, come tutte le favole richiede la sospensione dell’incredulità, e a tutti piace credere alle favole.

(Estratto da Appunti di Stefano Feltri)

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