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Che cosa diranno e non diranno Moody’s e S&P sull’Italia

L'articolo di Stefano Masa, analista

Giungere con il fiato corto è giusto, doveroso, ma soprattutto motivato se riconducibile ad una buona performance. Di segnale opposto, e pertanto preoccupante se non talvolta deleterio al limite della malattia, è avere l’affanno ancor prima di iniziare. A quest’ultimo “stadio” sembra aggrapparsi l’Italia. Si tratta di un appiglio fragile, difficile da raggiungere anche perché le forze necessarie mancano, sono centellinate, e nessuno è prossimo a soccorrerci. Anzi. Nessuno riconosce e ci riconosce possibilità di uscita almeno nel breve termine.

Di questo si tratta ormai giunti alla vigilia di due importanti appuntamenti: il 15 marzo l’agenzia di rating Moody’s dovrebbe (condizionale d’obbligo) astenersi dall’infliggere un ulteriore colpo sul nostro paese. Kathrin Muehlbronner – senior vice president – nel corso della Credit Trends Conference organizzata a Milano lo scorso febbraio, aveva dichiarato che nonostante la previsione di taglio sulle stime di crescita dell’Italia, il tutto non avrebbe inciso sul rating sovrano ovvero «Abbiamo un outlook stabile, copre 12-18 mesi». A Moody’s ha seguito il nulla di fatto a firma di Fitch che, pur sottolineando i molteplici fattori di inefficienza e rischio sul nostro paese, ha lasciato invariati sia il rating (BBB) sia l’outlook (negativo).

Nel corso delle successive settimane si è assistito a nuove rilevazioni che vedono peggiorare le prospettive sulla nostra economia: l’Ocse, attraverso il suo Interim Economic Outlook, ha rivisto le precedenti proiezioni correggendole al ribasso sia per quest’anno (a -0,2% da 0,9%) che per il 2020 (+0,5%). Una vera e propria battuta d’arresto che porta l’Italia allo stesso livello della Turchia quali paesi (i soli) ad avere una crescita negativa. Inoltre, nel corso delle ultime ore, è giunto il verdetto di Eurostat: solo Italia e Grecia evidenziano una crescita del Pil inferiore allo zero (entrambi a -0,1%). A chi legge, rimettiamo ogni commento.

Mancano pochi giorni al primo appuntamento in agenda: Moody’s dovrà nuovamente esprimersi sulle sorti del nostro paese. Cosa aspettarsi? Sicuramente una nuova bocciatura ma limitata al solo aggiornamento del loro report sulla base delle nuove stime e proiezioni (best case). Qualora non fosse (solo) così, pur contraddicendo le precedenti dichiarazioni dei propri esponenti, si potrebbe assisterebbe ad una prima revisione dell’outlook (worst case). Una sorta di riallineamento “dovuto” alle attuali view sia di Fitch che S&P. Sostanzialmente una perfetta chiusura del cerchio.

È sul versante della statunitense Standard and Poor’s che ad aprile – alla vigilia delle elezioni europee – ci si potrà attendere invece una vera e propria sentenza (probabilmente) definitiva. L’agenzia – di fatto – ha già lasciato in dote al nostro paese il taglio dell’outlook (a «negativo») ovvero quanto sia Moody’s sia Fitch hanno ratificato in questo ultimo mese.

Pertanto, se il quadro delineato fosse rispettato da Moody’s attraverso una “sola” diagnosi di malessere (l’ulteriore) per il nostro paese, il più significativo appuntamento coinciderebbe con aprile e per il tramite di S&P. Una data – quella del 26 aprile – che vedrà la stessa agenzia di rating in veste di vero e proprio chirurgo alla prese con un paziente ormai privo di fiato. Un soggetto sfinito, ansimante, e alla ricerca di nuovo ossigeno attualmente carente.

Bisogna agire. È necessario agire immediatamente perché l’Italia, la nostra Italia, spessa definita come il Belpaese, è sì un paese bello, ma malato, e non prossimo ad un’immediata guarigione.

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