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Che cosa dicono economisti di opposte convinzioni sul Def del governo Meloni

Sia Gustavo Piga (Tor Vergata) che Veronica De Romanis (Luiss) sottolineano il carattere sostanzialmente austero del Def del governo. D'altronde anche il quotidiano di Confindustria, Il Sole 24 Ore, dice che...

 

Filo austerity e anti austerity uniti nel sottolineare l’impostazione affatto espansiva della manovra di bilancio insita del Def (Documento di economia e finanza) approvato ieri dal consiglio dei ministri (qui tutti i dettagli).

Infatti due economisti – con tesi e convincimenti diversi come Gustavo Piga e Veronica De Romanis – sono concordi nel sottolineare l’impostazione europeista del Def: un apprezzamento per De Romanis, una critica per Piga.

D’altronde anche il quotidiano economico-finanziario Il Sole 24 Ore ha rimarcato la novità nella politica economica con il Def: “Finisce l’espansione, torna l’avanzo primario”, ha titolato il giornale della Confindustria, per poi spiegare: “Non sarà la politica di bilancio a offrire le armi più potenti contro i rischi di contrazione dell’economia prodotti da guerra, inflazione e tassi. Il Def 2023 è abbastanza esplicito in questo senso soprattutto, come sempre, nelle tabelle. L’indicazione più importante da questo punto di vista arriva dalla conferma del ritorno dell’avanzo primario, cioè dei risparmi “forzati” nel saldo calcolato al netto delle spese per interessi. Caratteristica di quasi tutti i bilanci italiani pre-pandemia, nel tentativo non molto riuscito di contenere il rapporto fra debito e Pil, l’avanzo primario torna a partire dal 2024, quando sarà di circa sei miliardi (lo 0,3% del Pil). Il suo peso appare poi destinato ad aumentare negli anni successivi, in modo netto sia nel 2024 (1,2% del Pil, circa 26 miliardi di euro) sia nel 2025 (2%, quasi 45 miliardi). Lo sforzo di finanza pubblica appare insomma imponente, e anche complicato da ridiscutere se non emergeranno elementi nuovi (come ad esempio la crescita superiore alle previsioni ufficiali su cui al Mef si alimenta più di una speranza). A questo fattore è infatti agganciata la discesa del debito pubblico, che è costante ma caratterizzata da ritmi piuttosto lenti (sette decimali di Pil nel 2024, cinque nei due anni successivi) che quindi offrono pochi margini alla riduzione dell’avanzo”.

Ma che cosa dicono gli economisti Piga e De Romanis?

Piga, docente di Economia all’università di Tor Vergata, da tempo critico con le posture rigide della Commissione europea nella finanza pubblica, con un paio di tweet ha messo in fila una serie di numeri del Def approvato ieri dal consiglio dei ministri per giungere a una conclusione: “Il governo italiano rimane austero”.

Una critica che invece per De Romanis, economista all’università Luiss Guido Carli, si trasforma in un apprezzamento implicito per le scelte dell’esecutivo Meloni, al quale di solito lancia strali per diverse ragioni:  “A me sembra un quadro estremamente prudente – ha sottolineato De Romanis nel corso della trasmissione Omnibus de La7 commentando il Def – perché se andiamo a guardare i tre indicatori che sono quelli relativi alle regole di bilancio – che ad oggi sono sospese -, il famoso disavanzo strutturale, cioè il disavanzo al netto degli effetti del ciclo economico, quello che noi abbiamo messo dentro la Costituzione, ogni anno diminuisce dello 0,5, che è esattamente quello che ci chiedeva – vediamo poi se verrà cambiato – Bruxelles”.

“Il debito – ha aggiunto l’economista che è anche editorialista del quotidiano La Stampa – scende ogni anno di più o meno di un punto percentuale, che è poi molto simile alla proposta tedesca della revisione del patto di stabilità e crescita. E poi l’altro elemento, il disavanzo totale, il disavanzo nominale, nel 2025 arriverà al 3%, che è diciamo un traguardo assolutamente accettabile, che il governo potrebbe tranquillamente discutere a Bruxelles”.

“Quindi i tre parametri fondamentali per le vecchie regole, chiamiamole così, sono totalmente rispettati – ha rimarcato positivamente l’economista della Luiss – Io sono molto d’accordo con questa linea della prudenza e lo dico per due motivi: uno perché il quadro di contesto è completamente cambiato, la Bce non ci compra più il nostro debito, anzi lo vende. È cominciato quello che si chiama quantitative tightening – e questo è un problema per i Paesi come il nostro che ha venduto molto debito alla Bce. E i tassi di interesse continueranno ad aumentare perché, è inutile che ci nascondiamo, l’inflazione continua a crescere, soprattutto quella che si chiama inflazione core, cioè depurata dagli alimentari e gli energetici. Dati di marzo 6,4, per dare un’idea, a novembre erano 5,6”. “Quindi se andiamo a guardare un dato, interessi passivi, cioè quello che ci costa il nostro debito pubblico, che dobbiamo dare a chi ha comprato il nostro debito ogni mese, che è un trasferimento di risorse anche iniquo perché io prendo dalla collettività e lo do ai possessori di debito, quindi non la parte meno abbiente. Nel 2026 si tratta di più o meno 100 miliardi di spesa pubblica, molto di più di quello che noi spendiamo in istruzione”.

Conclusione di De Romanis: “Quindi avere un quadro prudente, continuare – perché questo è già stato fatto nella legge di bilancio – con un quadro prudente è fondamentale, è chiaro che gli spazi di manovra sono ridotti ma questo lo sapevamo. Come si dice in economia, il debito non è un problema finché non lo diventa”.

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