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Pensioni

Pensioni, vi racconto amnesie e piroette del Pd (che ora strilla contro il governo Conte)

Perché contesto un po' chi contesta sulle pensioni il governo Conte. Il commento dell'editorialista Giuliano Cazzola

 

Chi ha avuto la cortesia e la pazienza di leggere i miei articoli (magari al solo scopo di criticarli) si sarà accorto di un’intransigente ostilità nei confronti della maggioranza giallo-verde e del governo in carica. Non riesco, però, a tollerare che la polemica politica diventi strumentale.

Ecco perché quando ho visto Matteo Orfini protestare davanti a Palazzo Montecitorio, insieme a delegazioni del Pd, contro le misure adottate nella legge di bilancio in materia di perequazione automatica delle pensioni al costo della vita, ho ritenuto opportuno fare alcune precisazioni.

E’ vero: dal 1° gennaio prossimo sarebbe dovuto tornare in vigore il meccanismo classico (ribadito anche dalla legge n.388/2000), articolato su tre fasce: il 100 per cento del tasso di inflazione per gli importi compresi fino a tre volte il minimo: il 90 per cento per quelli compresi da tre a cinque volte ed il 75 per cento oltre quella soglia. La legge di bilancio, invece, ha rinviato per un triennio il ripristino di tale sistema e ne ha disposto un altro articolato su sette fasce, di cui solo la prima, fino a 1.522 euro mensili lordi (1.250 netti), è rivalutata al 100 per cento, in modo corrispondente alle attese e a quanto stabilivano le norme.

I pensionati, quindi, hanno il diritto di protestare perché la differenza economica tra i due sistemi esiste (il premier poteva evitare il riferimento a ”L’avaro”) e determina un taglio, significativo, di 2,2 miliardi in un triennio. Si tenga, altresì conto, che tali risorse saranno perdute per sempre dai pensionati, anche quando la perequazione dovesse rientrare nei canoni normali.

Dove sta allora il problema? Nessuna forza politica è legittimata a scagliare la prima pietra, quando si tratta di questa tipologia di interventi, perché tutte, prima o poi, vi hanno fatto ricorso. A scriverne una storia completa si dovrebbe andare indietro di decenni e perdersi in tecnicalità complesse (quanto la fantasia dei legislatori).

Mi limito a ricordare che nel 2007 (secondo governo Prodi, ministro del Lavoro Cesare Damiano) fu sospesa, per un anno, la rivalutazione sopra i 3.500 euro lordi mensili. Ma il tourbillon è iniziato dal 2012 con la riforma Fornero che stabilì il blocco dell’indicizzazione a carico delle fasce al di sopra di tre volte l’importo del minimo (fino a 1.405,05 euro lordi mensili nel 2012, e 1.443 nel 2013 l’indicizzazione restava al 100 per cento).

Le pensioni d’importo superiore non ricevevano alcuna rivalutazione. Questa misura fu dichiarata incostituzionale perché viziata da inadeguatezza. Il che indusse il governo Renzi a rimediare per decreto (dl n.65/2015) ampliando, in modo retroattivo, il numero dei soggetti tutelati (senza coprire tuttavia l’intera platea), e con aliquote di perequazione ridotte man mano che cresceva l’ammontare del trattamento. Le opposizioni di allora protestarono insieme ai sindacati, rivendicando l’integrale copertura. La Consulta considerò legittimo l’aggiustamento. Si determinò così, a seguito del decreto legge, un regime transitorio che avrebbe dovuto concludersi nel 2017 per fare ritorno al modello classico delle tre fasce. Ma nella legge di bilancio per il 2016 (allo scopo di finanziare l’opzione donna) tale termine venne spostato alle fine del 2018.

Ed è qui che comincia la storia di queste giornate: il governo giallo-verde ha spostato in avanti di un triennio il ripristino della normale perequazione. I pensionati avranno degli aumenti minori di quelli attesi, ma non di quelli percepiti fino ad ora durante il periodo transitorio, secondo quanto disposto dai governi di centro-sinistra. Tutto ciò premesso, possono essere tratte alcune considerazioni.

a prima è che il meccanismo è discutibile nel merito. Alberto Brambilla, che non è certo ostile al governo in carica, ha dichiarato, spiegando bene – e con dovizia di dati – i motivi di tale giudizio: “Il Governo del cambiamento ha proposto una delle peggiori e bizantine indicizzazioni in termini di equità”.

La seconda è di carattere politico: anche la maggioranza populista, come quelle precedenti, non ha esitato a ”fare cassa” sulle pensioni, andando a cercare risorse laddove sono certe, immediate e prevedibili: il sistema d’indicizzazione.

Quanto alle opposizioni – a partire dal Pd – non è serio, ad avviso di chi scrive, ritenere che è arrivato il proprio turno per sparare sulla Croce Rossa. Sarebbe molto più corretto far notare agli esponenti della maggioranza del cambiamento che anche loro devono, alla fine, ridursi ad adottare, nonostante le promesse elettorali, le solite politiche, quelle di sempre.

Per il semplice fatto che non ne esistono di diverse, quando si è chiamati a fare i conti con la realtà.

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