Unicredit, Deutsche Bank e i conti sequestrati. Non ho le carte, ma da quanto emerge dalle indiscrezioni stampa trattasi di una casistica diffusa dopo il 24 febbraio 2022: le controversie radicate nei tribunali russi vedono le controllate delle società occidentali soccombere.
LA QUESTIONE DEI CONTI SEQUESTRATI IN RUSSIA
Si tratta di contenziosi perlopiù locali, tra compagnie locali e le sussidiarie locali di società come Unicredit o Deutschebank, ove la legge che regola il contratto è quella russa o comunque lo è il foro. Sicché, eventuali contenziosi finiscono in una corte russa.
NON SOLO IL CASO UNICREDIT IN RUSSIA
Il tema del contendere è spesso la risoluzione di un contratto da parte della sussidiaria occidentale per rispettare le sanzioni cui è sottoposta la controllante. Difatti, astrattamente le sanzioni sono estese anche alle sussidiarie regolate da altri diritti. Ciò significa che la sussidiaria di Unicredit è tenuta a rispettare le sanzioni come la controllante e quindi non può prestare garanzia per un progetto GNL. Il problema è che la sussidiaria così facendo risolve contratti con compagnie locali rischiando contenziosi in Russia.
COME SI MUOVONO I TRIBUNALI RUSSI
I tribunali russi non riconoscendo la legittimità delle sanzioni non riconoscono pertanto la validità della risoluzione del contratto, condannando la sussidiaria – i.e. sequestrando conti e asset localizzati in Russia, come in questo caso. In Ue invocare le sanzioni per risolvere un contratto vale, in Russia no. Però alcuni rapporti contrattuali tra sussidiarie e compagnie locali sono demandati a tale giurisdizione. Così come alcuni asset delle sussidiarie. Qui si giocano le battaglie legali che stanno vedendo soccombere le sussidiarie.
Logiche di geo-diritto: sanzioni Ue, la controllante deve rispettare e così anche le sussidiarie, queste però operano in altre giurisdizioni e ivi detengono asset; i tribunali russi non riconoscendo le sanzioni condannano le risoluzioni contrattuali, ritenute ingiustificate.
IL CASO UNICREDIT
Due spunti sul caso Unicredit:
- i tribunali russi non riconoscendo la legittimità delle sanzioni non le ritengono causa legittima di risoluzione contratto.
- dopo decreto agosto 2022 per le banche uscire dalla Russia (es alienare asset) richiede l’autorizzazione del Cremlino.
USCIRE DALLA RUSSIA NON È SEMPLICE
La decisione delle imprese occidentali di rimanere in Russia non è sempre una scelta. A volte si, ma non sempre. La questione è più complessa e si interseca con le problematiche di geo-diritto di cui ho più volte parlato per descrivere la realtà delle multinazionali.
La Yale School of Management monitora da inizio guerra i comportamenti delle imprese occidentali in Russia. Ha stilato un vero e proprio elenco, andando a distinguere tra le varie decisioni aziendali. In ordine dalla più radicale: uscita dalla Russia, sospensione dell’attività, riduzione drastica della operatività o degli investimenti, continuazione dell’attività limitata ad alcuni rami o mantenimento business as usual. Si ricordi che in alcuni settori tale business è legale: non è questione di sanzioni.
Aveva destato inoltre scalpore uno studio dell’Università del San Gallo che riportava come, a fine 2022, meno del 10% delle imprese occidentali aveva lasciato la Russia. Ebbene, alla luce di questo dibattito, occorre fare chiarezza. Come si diceva, non è sempre una questione di scelta.
LE OPZIONI PER UNA MULTINAZIONALE OCCIDENTALE IN RUSSIA
Una multinazionale occidentale che opera in Russia gioca in una diversa giurisdizione. Le società che controlla – ossia gli investimenti greenfield o i pacchetti azionari che ha acquisito nel tempo per entrare in tale mercato – sono costituite e regolate dal diritto russo. Ciò significa che ogni operazione societaria relativa alle stesse (alienazione del pacchetto azionario etc) così come ogni possibilità di nazionalizzazione, amministrazione temporanea o sequestro, dipendono dal diritto russo. E dunque dalla arbitrarietà del Cremlino.
COSA PREVEDE IL DECRETO PUTIN DEL 2022
Da qui, ad esempio, il decreto di Putin di agosto 2022: nei settori strategici (banche, energia) quando vi sono di mezzo investitori di paesi ‘ostili’ (i.e. G7), per alienare degli asset serve l’autorizzazione del Cremlino. Che ha così rallentato o fermato l’esodo. Ad esempio, non concedendo l’autorizzazione, prendendo tempo, quantomeno fino a quando non si trovava un acquirente a buon prezzo. Cosa ad esempio che è accaduta con Enel rispetto alle sue partecipazioni, vendute dopo mesi e mesi di trattative per l’autorizzazione.
IL CASO ARISTON
La subordinazione al diritto e giurisdizione del Cremlino è evidente anche nel caso Ariston: filiale regolata del diritto russo, dunque soggetta al potere del Cremlino. È la geografia giuridica della globalizzazione. In definitiva, non è sempre una questione di scelta. È molto più complesso: ci sono equilibri tra ordinamenti giuridici, asset, conti e investimenti da tutelare, autorizzazioni da attendere, rischi di nazionalizzazioni e via dicendo. A volte è scelta, altre è geo-diritto. Non è tutto riducibile all’opportunità politica.