Secondo l’Institutional Investor Survey 2021 di Morrow Sodali, sondaggio condotto su una platea di oltre 40 investitori istituzionali che gestiscono 29 trilioni di dollari a livello mondiale (33% UK, 17% USA, 12% Europa e 38% Resto del Mondo), la sostenibilità ambientale sta entrando nel nostro DNA, spingendo i consigli di amministrazione delle società quotate in Borsa ad impegnarsi per il raggiungimento non solo dei profitti ma anche degli obiettivi non finanziari comuni, come arrivare a zero emissioni di anidride carbonica (CO2) entro il 2050.
L’Impegno mostrato nell’ESG, infatti, si traduce in creazione di valore a lungo termine per le imprese.
FATTORI ESG DETERMINANTI PER LE SCELTE DI INVESTIMENTO
Le imprese del 2021 non guardano più solo al profitto ma anche alle persone e al pianeta, introducendo il concetto delle tre P che sta rivoluzionando il mondo degli investimenti e il rapporto tra aziende e azionisti.
Nascono così i fattori Esg, acronimo di Environmental, Social and Governance (ambientali, sociali e di governance), cuore pulsante di ogni investimento sostenibile e responsabile (Sustainable and Responsible Investing, SRI).
I criteri ambientali servono per valutare come l’azienda contribuisce alla lotta al cambiamento climatico tramite, ad esempio, la gestione dei rifiuti, l’inquinamento, le emissioni di gas serra, mentre quelli sociali riguardano soprattutto la gestione del capitale umano (sicurezza sul luogo di lavoro ma anche livello di inclusione). Ci sono poi i criteri di governance di un’azienda, che servono per valutare il modo in cui l’impresa viene amministrata, prendendo a riferimento anche la remunerazione dei dirigenti sulla base del raggiungimento degli obiettivi prefissati.
Questi tre fattori, utilizzati nella misurazione della sostenibilità di un investimento, stanno sempre più condizionando le scelte dei principali investitori istituzionali, come e perché?
Le risposte a queste domande si trovano nell’Institutional Investor Survey (ISS) 2021 di Morrow Sodali, sondaggio condotto su una platea di 42 investitori istituzionali che gestiscono 29 trilioni di dollari, dalla quale emerge che nel 4° trimestre del 2020 la tendenza degli afflussi di capitale negli investimenti orientati ai criteri ESG è “esplosa”, raggiungendo il record di 1,65 trilioni di dollari, in crescita di quasi il 29% rispetto al 3° trimestre 2020.
INSTITUTIONAL INVESTOR SURVEY 2021: COME CAMBIANO LE SCELTE DI INVESTIMENTO
Il sondaggio condotto da Morrow Sodali, player globale specializzato in corporate governance, sollecitazione di deleghe, consulenze strategiche, fusioni e acquisizioni, con più di 700 clienti corporate in oltre 40 paesi nel mondo, circa il 65% del listino italiano FTSE MIB, evidenzia come i fattori Esg stiano diventando sempre più importanti nelle scelte di investimento degli investitori istituzionali e nell’esercizio dei diritti di voto nelle assemblee degli azionisti, nonostante ci sia ancora molto greenwashing in giro, ovvero ecologismo di facciata.
Andrea Di Segni, managing director di Morrow Sodali parlando della sesta edizione dell’Institutional Investor Survey 2021, ha messo in luce un certo “bipolarismo” nelle scelte assembleari 2021 delle società del FTSE Mib dovuto anche alla pandemia Covid.
“Nel mondo delle società quotate abbiamo visto delle situazioni che non ci aspettavamo”, ha dichiarato Di Segni ricordando che il 2021 è stato un “anno particolare” causa Covid con “moltissime raccomandazioni contrarie dei Proxy advisor” (entità che si frappongono tra società ed investitori) alle delibere assembleari delle società quotate sulla base dei comportamenti adottati dal Board durante la pandemia.
Gli investitori istituzionali hanno cercato di capire le “dinamiche connesse alla pandemia Covid”, in particolare se il Consiglio di amministrazione “è stato pronto a reagire alla crisi economica, se ha o meno pagato i dividendi per motivi esogeni o endogeni, se ha usato ammortizzatori sociali, se ci sono stati degli aumenti rispetto ai compensi dei manager”.
ANDREA DI SEGNI: IN AUMENTO DISSENSO INVESTITORI SU REMUNERAZIONI MANAGER
La pandemia Covid ha avuto un forte impatto sulle metriche di giudizio di Proxy Advisor e azionisti, evidenziando nelle assemblee 2021 un maggiore livello di dissenso degli investitori soprattutto alle proposte in ambito executive remuneration. Come mai?
Secondo la Survey 2021 i principali Proxy Advisors hanno espresso raccomandazioni negative per il mercato italiano superiori al 45% per la Politica di Remunerazione ed oltre al 48% per la Relazione sui compensi corrisposti, puntando il dito tra le tante cose sull’ampio utilizzo di “bonus discrezionali, le indennità di fine rapporto superiori alle 24 mensilità, l’erogazione di compensi ritenuti inadeguati nel contesto Covid in relazione alle performance aziendali realizzate, la scarsa trasparenza negli obiettivi di medio-lungo termine”. Altri aspetti critici riguardano l’assenza di obiettivi ESG per i piani di incentivazione e l’erogazione di bonus in assenza di pagamento dei dividendi.
Gli investitori, oltre a chiedere maggiore trasparenza, sperano in un allineamento tra strategia/piano industriale e sistemi di incentivazione, cercando ad esempio di spostare l’arco temporale su un orizzonte pluriennale di almeno tre anni, con l’inclusione di indicatori di performance (KPI) di natura extra-finanziaria (environment, sustainability & governance).
POLITICHE DI REMUNERAZIONE 2021: SUPPORTO MEDIO AZIONISTI ALL’87%
Il supporto medio degli azionisti alle politiche di remunerazione, rivela la Survey 2021, è stato pari all’87%, con ben 12 società del FTSE Mib con dissenso superiore al 10%, 2 oltre il 30%. “Sono molte”, ha osservato Di Segni riferendosi ancora una volta alla pandemia Covid, “con situazioni per cui un atteso supporto degli investitori istituzionali del 70% si è ridotto fino al 50% e situazioni dove ci si aspettava un voto contrario di almeno il 70% ridotto al 40%. Un anno di bipolarismo”, lo definisce Di Segni.
Alcuni esempi: Nel caso di Intesa Sanpaolo, che ha fatto una modifica di un piano importante che avevano posto in piedi tre anni fa, si è ottenuto il supporto di oltre il 66% degli investitori istituzionali; i compensi dell’amministratore delegato di Unicredit, Andrea Orcel, sono stati approvati con il 54% del quorum; la politica di remunerazione di Tim con oltre il 94%.
Guardando alla campagna 2022 Di Segni osserva che l’anno prossimo “non sarà un anno facile, sarà un anno complesso: nel 2022 sarà ancora più importante lo scrutinio degli investitori” perché dobbiamo vedere quali società riusciranno a pagare i dividendi ed avere una crescita del prezzo del titolo, con le imprese che molto probabilmente “non torneranno a fare gli utili del 2018/2019”.