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Pensioni Inps

Breve storia della perequazione automatica delle pensioni

L'intervento di Michele Poerio, segretario generale Confedir e presidente nazionale Federspev

 

I titolari di pensione, rappresentati dalla FEDER.S.P. e V. (federazione Sanitari Pensionati e Vedove) e dalla Confedir (Confederazione maggiormente rappresentativa della dirigenza pubblica e privata, dei quadri e delle alte professionalità), mio tramite in qualità di Presidente Nazionale e di Segretario Generale, premettono quanto segue:

a) sono stati “Dirigenti” per oltre 35-40 anni, periodo/vita lavorativa nel corso della quale sono stati versati contributi previdenziali per un importo, attualizzato alla data di cessazione dal servizio attivo, da 1,8 milioni di euro ad oltre 2,2 milioni di euro, pagando contestualmente a titolo di Irpef oltre 1,2 milione di euro;

b) sono pensionati che nel corso della vita in stato di quiescenza, mediamente della durata di oltre 20 anni, versano e verseranno ancora, sempre a titolo di Irpef, un (altro) 1 milione di euro, e percepiranno contestualmente un trattamento complessivo netto non superiore a 2 milioni di euro, quale pensione “previdenziale” assistita da contributi effettivamente versati;

c) sono quindi pensionati che, come ben si può capire, godono di un trattamento superiore a 5 volte il trattamento minimo INPS, in quanto commisurato, secondo leggi statali votate dal Parlamento e vigenti al momento della loro cessazione dal servizio attivo, sia alle retribuzioni percepite nel corso della loro vita professionale che ai contributi previdenziali versati (montante contributivo);

d) sono infine cittadini che nel corso della loro esistenza contribuiscono, con i circa 2 milioni versati/pagati e non fruiti a titolo personale, ad assicurare ai vari membri della comunità nazionale il pieno godimento di diritti fondamentali quali istruzione, sanità, assistenza sociale, etc. (in merito si fa presente che la metà degli italiani versa poco più del 3% del gettito Irpef: non versa cioè nemmeno 1.930 euro/anno che è il costo annuo pro capite dell’assistenza sanitaria!).

Il disegno di Legge di bilancio 2022, presentato in questi giorni dal Governo ai due rami del Parlamento, correttamente nulla dice in ordine alla perequazione automatica di tali pensioni che – per ben 11 degli ultimi 14 anni, cioè dal 2008 al 2021 – hanno pagato/scontato una grave riduzione della stessa (addirittura un suo azzeramento negli anni 2008, 2012 e 2013), subendo una permanente perdita del potere di acquisto pari a non meno del 15-20%.

Su tale lungo periodo di tempo ultradecennale sono intervenuti più volte i pronunciamenti della Corte Costituzionale con sentenze che, ancorché ondivaghe, hanno comunque affermato il principio che simili interventi legislativi — limitativi del quantum della rivalutazione delle pensioni — non devono essere reiteratamente riproposti senza interruzione di continuità, in quanto, in caso diverso, costituirebbero un vulnus/una lesione degli articoli 36 e 38 della Carta Costituzionale.

Nella direzione/adesione ai suddetti alti pronunciamenti si è posto il Parlamento con l’approvazione della Legge 160/2019, il cui articolo 1 — comma 478 — stabilisce che, a decorrere dal 1° gennaio 2022, l’indice di rivalutazione automatica delle pensioni è applicato secondo il meccanismo stabilito dall’articolo 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448.

Non posso qui astenermi dal rappresentare una verità poco conosciuta e considerata. anche dal Governo e dal Parlamento, verità che, forse — anzi sicuramente — scomoda, è talmente immanente e pervasiva nel contesto sociale che interessa i redditi più alti e quindi anche le pensioni di cui trattiamo; mi riferisco alla tripla progressività vigente nel nostro Paese:

Ø la prima riguarda il fatto che più un soggetto guadagna e più paga;

Ø la seconda (altrettanto legittima) progressività è data dall’incremento dell’aliquota, con quella marginale attestata al 43%;

Ø la terza è una “progressività occulta”, perché esiste ma non è mai evidenziata dai fautori della riduzione delle imposte, e soprattutto pericolosa, perché più tasse si pagano meno servizi si ricevono, in quanto all’aumentare del reddito diminuiscono infatti, fino a sparire, le deduzioni, di fatto incentivando i cittadini a dichiarare quanto davvero serve per poter così beneficiare di prestazioni sociali e altre agevolazioni da parte sia dello Stato che di Regioni e Comuni.

Nella mia qualità di Presidente Nazionale e Segretario Generale sopra specificata chiedo che, dopo ben 14 anni, sia data attuazione al suddetto articolo 34, comma 1, ripristinando finalmente la vigenza dei tre scaglioni ordinari:

a) 100 per cento per i trattamenti pensionistici fino a 4 volte il trattamento minimo Inps;

b) 90 per cento per i trattamenti pensionistici compresi tra 4 e 5 volte il trattamento minimo Inps;

c) 75 per cento per i trattamenti pensionistici superiori a 5 volte il trattamento minimo Inps.

La richiesta attuazione costituisce un atto riparatorio di disconoscimenti parziali o totali del vitale principio di adeguamento delle pensioni all’andamento del costo della vita.

 

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