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Banche

Bnl, Popolare Bari e non solo, tutte le grane delle banche

Cosa sta succedendo negli istituti di credito nostrani alle prese con le difficoltà determinate dal Covid-19 ma anche con annose diatribe. I casi Bnl e Popolare di Bari

Emergenza coronavirus e non solo. Vecchi e nuovi problemi per gli istituti di credito, stretti fra questioni strutturali o di organizzazione del lavoro che vanno avanti da anni e difficoltà dovute alla tutela della salute di dipendenti e clienti e ai decreti del governo, non sempre facili da attuare.

IL NUOVO PROTOCOLLO CON L’ABI

Intanto ieri pomeriggio le organizzazioni sindacali di settore — guidate dai segretari generali Lando Maria Sileoni (Fabi), Riccardo Colombani (First Cisl), Giuliano Calcagni (FIsac Cgil), Massimo Masi (Uilca) ed Emilio Contrasto (Unisin) — e l’Abi hanno firmato il secondo protocollo di settore sulle misure di prevenzione, contrasto e contenimento della diffusione del Covid-19 ai sensi del Dpcm 26 aprile 2020 che dal 4 maggio sostituirà il precedente, siglato lo scorso 16 marzo.

La mancata attuazione del protocollo determinerà la sospensione dell’attività fino al ripristino delle condizione di sicurezza. Si prevede di preferire ancora la modalità di lavoro agile, e su appuntamento, ma in caso di aggravamento degli indici di contagio si valuterà di ridurre l’operatività. Si prosegue con il mantenimento delle previsioni in termini di distanziamento sociale e sanificazione degli ambienti, cui si aggiunge la previsione di dotazione generalizzata a tutto il personale di mascherine protettive. Restano ancora in vigore tutte le prescrizioni in materia di informazione sulle proprie condizioni di salute, con divieto di accesso sui posti di lavoro in caso di temperatura superiore ai 37,5°. L’orario di lavoro continuerà ad essere articolato per gruppi differenziati all’interno di una forbice oraria compresa fra le 7 e le 19,30.

IL PROBLEMA DELLA GARANZIA SUI FINANZIAMENTI

Una difficoltà molto sentita dalle banche – e a più livelli – è quella dell’applicazione del decreto “Liquidità” con cui in realtà il governo puntava a semplificare le procedure di accesso al credito da parte delle aziende. Gli imprenditori lamentano la mole di “carte” da produrre e gli istituti si discolpano rimandando il problema al dl varato dal governo. I sindacati di categoria, invece, puntano il dito sia contro la normativa “troppo farraginosa” sia contro l’“eccessiva quantità di documenti richiesti dalle direzioni generali di alcune banche”.

Sul primo punto, ovvero sulle norme del decreto, concorda pure l’Abi con Giovanni Sabatini che — in audizione in commissione d’inchiesta sul sistema bancario — ha chiarito: “È opportuno semplificare ulteriormente le modalità di accesso alla garanzia del Fondo, soprattutto in relazione alle operazioni di finanziamento di minore dimensione. In questa logica — ha spiegato —, si propone l’estensione della procedura facilitata senza valutazione del merito di credito per le domande di garanzie relative a finanziamenti fino a 100 mila euro (dagli attuali 25 mila euro)”. Il giorno prima era stato il presidente Antonio Patuelli, ospite di “Piazza Affari” su Raitre, ad affermare: “Non è che pesa la burocrazia ma la legislazione complicata. Questa legge di aprile è giuridicamente molto complessa”.

Di sicuro, hanno avvertito i sindacati con Colombani, “i lavoratori non possono pagare per le inefficienze di alcune banche. Se si dovessero verificare ritardi nella gestione delle pratiche per i finanziamenti fino a 25mila euro previsti dal decreto Liquidità e garantiti da Fondo centrale, ciò non potrà essere in alcun modo imputato al personale, che ha già dimostrato la sua professionalità nel gestire gli adempimenti connessi ai precedenti provvedimenti varati dal governo”.

Si è spinto decisamente più in là Sileoni della Fabi affermando — durante la trasmissione televisiva “Quarta Repubblica” su Retequattro — che alcuni istituti frenano le erogazioni perché vogliono lo scudo penale dal governo”.

BNL E LE PRESSIONI COMMERCIALI DENUNCIATE DAI SINDACATI

Un problema non determinato dall’emergenza per la pandemia, ma decisamente più molesto in questo periodo, secondo i sindacati, è quello delle pressioni commerciali che ricevono i bancari: gli ultimi subbugli solcano Bnl. “Le organizzazioni sindacali di settore, e in Bnl forse anche più duramente, si sono strenuamente battute contro le indebite pressioni commerciali che di per sé costituiscono un’azione sempre e comunque indegna” lamentano in un comunicato congiunto le segreterie di coordinamento nazionale del gruppo Bnl di Fabi, First Cisl, Fisac Cgil Uilca e Unisin. I dipendenti, denunciano, “subiscono pressioni continue e costanti, nonostante la dolorosa parentesi che clienti e lavoratori vivono in queste ore, e si arriva persino a minacciare la mancata concessione dei due giorni di smart working in caso di mancato raggiungimento di alcuni obiettivi dii breve periodo”. In particolare “alcuni lavoratori riferiscono di pressioni circa tentativi decisamente immorali di condizionamento del lavoro in agenzia: l’input sarebbe quello di spingere su alcuni prodotti più remunerativi a prescindere dalle specifiche esigenze della clientela”. Dunque “è questa la memoria che Banca Nazionale del Lavoro (Bnl) vuole imprimere nella mente dei suoi lavoratori, del settore e dell’intero Paese?”.

POPOLARE BARI E IL PIANO INDUSTRIALE

Gli occhi del sindacato sono puntati anche su un grande malato del sistema, in sofferenza da tempi ben precedenti all’emergenza coronavirus. I commissari di Popolare di Bari, Antonio Blandini ed Enrico Ajello, hanno mandato un’informativa per avviare la procedura sindacale che possa portare all’approvazione del piano industriale cui seguirà l’attivazione del Fondo esuberi. Come ricorda La Repubblica l’accordo con i sindacati dovrà avere l’ok dell’assemblea che sarà pure chiamata a trasformare la popolare in spa.

Oggi parte infatti il tavolo negoziale con i sindacati che discuterà il progetto di ristrutturazione della rete che prevede, tra l’altro, da una parte la riduzione di 90 filiali su 290 e, dall’altra, 900 esuberi sui 3.300 addetti attuali del gruppo nell’arco dei prossimi anni, ricorda il Sole 24 Ore: “Nel primo caso, circa la metà delle chiusure del piano messo a punto dal direttore generale Paolo Alberto De Angelis riguarda filiali di aree marginali con presidi minimi a livello di personale, mentre riguardo agli esuberi saranno tutti volontari: circa la metà del perimetro individuato ha già maturato, peraltro, i requisiti pensionistici”.

COME LA FABI STRONCA IL PIANO INDUSTRIALE DELLA POPOLARE DI BARI

Con una nota congiunta, però, le segreterie di coordinamento del gruppo Popolare di Bari di Fabi, First Cisl, Fisac Cgil, Uilca e Unisin hanno messo nero su bianco la loro insoddisfazione. “Dopo avere sbandierato solo a parole una seria discontinuità rispetto agli errori ed alla cattiva gestione, quello che ci viene presentato oggi è la più fallimentare ed obsoleta ricetta: 900 esuberi (600 in rete, 300 in direzione), 510 risorse destinate alla mobilità territoriale e/o riconversione professionale, chiusura di 94 filiali (su 291), esternalizzazioni di molte attività e rivisitazione della contrattazione integrativa ed intervento sulla previdenza  complementare”.

I sindacati precisano che “non saranno accettati tagli indiscriminati e nemmeno riduzioni del personale che non prevedano il ricorso a strumenti previsti nel nostro settore, fermo restando il requisito della volontarietà”.

“Vogliamo un progetto credibile — proseguono — perché non è pensabile che le lavoratrici ed i lavoratori possano essere immaginati all’interno di un contenitore senza alcun progetto e senza futuro; è inaccettabile, specie nell’ottica della pubblicizzata mission di banca al servizio del Mezzogiorno, recidere il forte legame con i territori, riducendo in modo miope e definitivo il numero delle filiali. Non ci sottrarremo al confronto” evidenziano ancora le organizzazioni sindacali che però al momento “non possono accettare” la proposta che arriva dall’istituto di credito che peraltro “non delinea le politiche strategiche future (se esistenti), non è accompagnata da un piano industriale e restituisce un futuro pieno di incognite, incertezze e possibili ulteriori gravi ripercussioni a venire sul personale”.

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