Venerdì la Commissione ha annunciato che un significativo piano di sussidi a favore di imprese impegnate nella produzione di materiali e attrezzature per la transizione energetica non costituisce violazione del divieto di aiuti di Stato. 1,1 miliardi di euro, con un massimo di 150 milioni ad impresa (200 se operanti nei territori svantaggiati del Mezzogiorno) parzialmente finanziati con i fondi del dispositivo di ripresa e resilienza (RRF), e quindi previsti dal nostro PNRR.
Produttori di pannelli solari, pompe di calore, batterie, turbine per pale eoliche, strumenti per la cattura e il deposito di CO2 e tutti coloro che forniscono elementi essenziali per la loro produzione, potranno ricevere sussidi a fondo perduto nell’ambito del Green Deal Industrial Plan della UE.
Si tratta solo dell’ennesimo episodio di una serie che dimostra che la transizione energetica può avvenire solo se pesantemente sussidiata con la spesa pubblica, cioè il denaro dei contribuenti. E ciò è vero anche quando i soldi provengono dal RRF, perché, che siano sussidi o prestiti, saranno sempre le casse dello Stato a rimborsare Bruxelles.
Insomma la famosa domanda che pende da sempre a proposito della rivoluzione green (quanto costa e chi paga?) trova una risposta con tanto di prove inconfutabili. Costa tanto e pagherà il contribuente.
Ma i problemi non si fermano qua. Infatti, questa ininterrotta sequenza di sussidi autorizzati da Bruxelles – con la Germania e la Francia che stanno facendo il pieno – sta decretando la fine del mercato interno e della leale concorrenza. Uno degli elementi costitutivi più preziosi della UE. Per avere un mercato unico, la concorrenza deve essere tutelata, altrimenti è solo il Far West e la legge del più forte.
Invece, tali e tante sono le distorsioni introdotte da questi sussidi che ormai della parità di condizioni di concorrenza non è rimasto nemmeno il simulacro.
Soprattutto il settore dei beni collegati alla transizione energetica è da diversi mesi caratterizzato dall’assalto alla diligenza dei fondi pubblici, che costituiscono la vera fonte di vantaggio competitivo per gli operatori che così prevalgono sui concorrenti.
Una corsa a chi viene sussidiato di più.
Il tutto sotto gli occhi semichiusi della DG Concorrenza di Bruxelles guidata dalla una volta inflessibile Margrethe Vestager e sotto l’ombrello protettivo del Quadro temporaneo per la transizione del 9 marzo 2023, che a sua volta proviene da quello del 23 marzo 2022 per la crisi Ucraina.
In ossequio alla vecchia e sempre confermata massima secondo la quale quando ci sono le crisi, le regole non valgono più. Ed invece dovrebbe essere proprio il contrario, perché le regole servono per gestire e superare le difficoltà. A Bruxelles si sono inventati i Quadri Temporanei per derogare sistematicamente al divieto di aiuti di Stato, salvando le apparenze, mentre centinaia di milioni di denaro pubblico passa a favore di filiere produttive che altrimenti non starebbero in piedi per mancanza di clienti.
Si conferma quindi un irrisolvibile trilemma: non è possibile avere la transizione energetica senza violare l’impegno di consolidamento di bilancio e/o la distruzione della concorrenza del mercato unico interno. Ma a Bruxelles continuano correre a folle velocità contro il muro della realtà contro cui presto si schianteranno, salvo dare la colpa ai populisti, alle destre (inclusa la variante “estrema”, molto popolare) e chi più ne ha, più ne metta.