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Draghi Burocrazia

Bce, ecco le vere sfide per l’Italia dopo la fine del bazooka QE di Draghi

L’analisi di Marco Piersimoni e Fabio Castaldi, entrambi Senior Investment Manager di Pictet Asset Management, sull’annuncio della Bce di Draghi  Come anticipato da diversi membri del direttorio Bce la settimana passata, la comunicazione sulle modalità e sul termine del programma di QE è stata annunciata oggi da parte della Bce di Mario Draghi. Nonostante i…

Come anticipato da diversi membri del direttorio Bce la settimana passata, la comunicazione sulle modalità e sul termine del programma di QE è stata annunciata oggi da parte della Bce di Mario Draghi.

Nonostante i dati macro non abbiano offerto certezze nelle settimane recenti – fiacche la fiducia delle imprese e dei consumatori in Europa, in calo gli ordini industriali tedeschi, di poco migliori i numeri sull’inflazione – l’istituto di Francoforte non ha ritenuto necessario concedersi un ulteriore mese di attesa, per analizzare i dati di giugno e luglio per valutare se il rallentamento osservato nella prima parte del 2018 sia stato superato o meno.

Il programma di QE avrà termine a fine 2018 con acquisti mensili da ottobre a dicembre ridotti a 15 miliardi. La forward guidance offerta dal governatore Mario Draghi rimane tuttavia prudente: cautela sull’evoluzione delle variabili macroeconomiche – inflazione e crescita – che richiedono un progresso e una robustezza sostenibile prima che si inizi a procedere alla normalizzazione dei tassi d’interesse che non è prevista prima della fine dell’estate del 2019.

Tuttavia, al di là dei toni dovish del governatore Mario Draghi, è chiaro che la Bce non farà sconti ad alcun Paese indisciplinato sul fronte fiscale. Le parole a fine maggio di Vítor Constâncio, numero due uscente dell’istituto di Francoforte, sono emblematiche: Constâncio ha ricordato allo Spiegel che la strada ufficiale per ottenere il supporto dell’Europa è l’Outright Monetary Transactions (Omt), il programma di acquisto dei titoli di stato sul mercato secondario che funziona da scudo anti-spread e che è vincolato all’intervento della Troika e all’accettazione di un programma di aggiustamento dei conti pubblici.

Un messaggio stentoreo per il futuro dell’Italia, al quale il numero due della Bce ha rivolto l’invito a rileggere le regole del gioco. Alla Bce non può e non deve essere chiesto di intervenire in soccorso di mercati in difficoltà, laddove tale “disordine” sia motivato da intenzioni e dichiarazioni politiche che siano palesemente in contrasto con le regole sottoscritte dai tutti i paesi membri dell’area Euro.

Peraltro, nonostante l’espressione non piaccia a molti politici, i mercati stessi inducono alla disciplina: il drammatico allargamento dello spread non passa inosservato anche ai politici e allarma anche chi pretende che la politica nazionale non debba essere dettata dalla finanza. Tanto più che l’Italia deve collocare ogni due settimane importi rilevanti di titoli di Stato sul mercato primario e gli investitori devono trovare conforto in dichiarazioni politiche che non facciano presagire misure estreme che possano mettere in discussione le prospettive dell’Italia nell’Euro. Non appare casuale, in questo contesto, l’intervista rilasciata alla stampa lo scorso fine settimana dal ministro dell’Economia Giovanni Tria, che dalla colonne del Corriere, si è impegnato sull’euro e sul bilancio pubblico.

Lo stesso Di Maio lascia trapelare che il governo inizierà a lavorare su quelle politiche a costo zero – la legge sulla legittima difesa, i flussi migratori, l’abolizione dei vitalizi – che i mercati non hanno ragione di temere. È invece verosimile che i nodi vengano al pettine in autunno – con la legge di bilancio – se la scelta del governo sarà quella di spingere quei punti del programma che richiedano un finanziamento in deficit eccessivo: nell’ordine, neutralizzazione dell’aumento dell’Iva, riforma delle pensioni, reddito di cittadinanza e infine la flat tax.

L’obiettivo di un deficit/Pil al 2,9% prospettato da Matteo Salvini appare, al momento, non credibile, a meno di non fare previsioni di crescita del PIL irrealisticamente elevate. La legge finanziaria è dunque la linea del Piave per capire se l’Italia potrà ritrovare stabilità politica in Europa e sui mercati finanziari, rientrando – pur con dei margini di flessibilità – nei ranghi della disciplina fiscale o, viceversa, se si arriverà allo scontro con Bruxelles. Ipotesi quest’ultima che non conviene a nessuno e che non conviene, soprattutto, all’Italia.

L’Italia rimane però, al momento, protagonista in negativo sui mercati finanziari. L’instabilità della politica domestica ha avuto e sta avendo ricadute pesanti sui mercati obbligazionari domestici e, nelle fasi più acute della crisi, su quelli globali. Sul fronte domestico l’improvviso e violento allargamento dello spread (fino a150 bp sulla parte a 10 anni e, drammaticamente, fino a 300 bp sulla parte a 2 anni), ha anche messo a dura prova il funzionamento del mercato secondario dei titoli di stato italiani dove la liquidità, nelle giornate più drammatiche di fine maggio, è venuta totalmente a mancare.

Il mercato italiano, tipicamente caratterizzato da un elevato volume di scambi, da numerose banche pronte a dare liquidità e profondità alle quotazioni, ha perso questi connotati durante le fasi acute della crisi e fatica a recuperare livelli di funzionalità accettabili. I documenti e le dichiarazioni iniziali del nuovo esecutivo sull’approccio alla politica fiscale e all’Euro (pur successivamente smentite) hanno intaccato la fiducia degli investitori e quindi il funzionamento dei meccanismi su sui il mercato si regge.

Per avere una misura del malfunzionamento del mercato possiamo fare ricorso a due numeri: il differenziale denaro-lettera sul benchmark BTP a 2 anni, è passato dai 2cts di inizio maggio a 40 cts delle fasi più drammatiche della crisi per attestarsi, attualmente, intorno ai 15-20 centesimi; la volatilità del future sul Btp 2 anni è passata, nello stesso periodo, dallo 0,5% a oltre il 20% per attestarsi ora intorno al 10%, livello ancora drammaticamente elevato.

Il ritorno a un regime di volatilità sano e di liquidità normale del mercato obbligazionario italiano passa per il ritorno della fiducia degli investitori nei fondamentali non tanto economici – che appaiono ragionevolmente solidi e in progresso – ma quanto politici del nostro paese. La crisi è stata innescata da una precisa scelta politica e dalle intenzioni espresse dal governo, questo elemento deve essere rimosso in maniera convincente per ridurre lo spread in maniera sostenibile e riportare liquidità e ordine al mercato secondario dei bond.

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