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Bce

Perché la Bce è un po’ nei guai

L’impennata dell’inflazione nel 2022 ha reso necessaria l’attuazione di una stretta monetaria senza precedenti nella storia dell’Eurozona, che potrebbe condurre a conseguenze negative, come l’indebolimento della domanda di prestiti bancari e il rallentamento dei consumi. L'analisi di Davide Petrella, Portfolio Manager di Moneyfarm.

La BCE si trova a dover fare i conti con un’inflazione elevata e persistente: dopo otto rialzi consecutivi dei tassi di interesse, il target del 2% è ancora lontano e, come se non bastasse, la dinamica inflattiva è fortemente disomogenea nei vari Paesi dell’Eurozona. Dopo l’ultimo aumento di 25 punti base deciso a giugno, la stessa presidente Lagarde, in occasione del Forum di Sintra, ha dichiarato che i rialzi dei tassi di interesse non si fermeranno, a meno che non subentri un mutamento sostanziale delle prospettive di inflazione.

La BCE sembra quindi intenzionata a restare “falco”: al momento viene dato per certo un nuovo rialzo di 25 punti base nel prossimo meeting del 27 luglio, ma non sono da escludere successivi aumenti nei prossimi mesi, almeno fino alla normalizzazione dei livelli di inflazione, che attualmente si prevede tornerà intorno al 2% solo nel 2025.

INFLAZIONE SOPRA LA MEDIA STORICA

I livelli attuali di inflazione sono ben al di sopra della media storica: guardando all’ultimo ciclo di rialzi dei tassi, tra il 2005 e il 2007, all’epoca la necessità della stretta decisa dal presidente Trichet fu una diretta conseguenza della significativa espansione del credito del biennio precedente, che stava iniziando a minare la stabilità dei prezzi, oltre che del prezzo del greggio, significativamente sopra le attese.

Tuttavia, mentre allora l’inflazione era solo leggermente al di sopra del target del 2%, nel 2022 il valore medio dell’inflazione è stato dell’8,4% e per il 2023 si prevede un valore medio del 5,4%, in entrambi i casi valori ampiamente superiori al target.

LE CAUSE DELL’INFLAZIONE, OGGI

Oggi, inoltre, le cause dell’inflazione sono diverse rispetto al passato: alla base dell’improvvisa impennata dei prezzi vi sono anzitutto le riaperture legate al post-pandemia che, dopo mesi di restrizioni, hanno causato un aumento repentino della domanda; ad inasprire questa dinamica hanno poi contribuito la parziale disgregazione delle catene di approvvigionamento e, soprattutto, lo shock subito dai prezzi dell’energia a seguito dell’invasione russa in Ucraina.

A complicare il quadro anche la disomogeneità dei livelli di inflazione nei vari Paesi dell’Eurozona: mentre la Germania resta il “malato” d’Europa, con un aumento medio dei prezzi nel mese di giugno pari al +6,4% rispetto allo stesso mese dello scorso anno, la Spagna ha registrato un +1,9% e il Portogallo un +3,4%. Se quindi, da una parte, la politica monetaria restrittiva della BCE potrebbe essere funzionale all’abbassamento dei livelli dell’inflazione tedesca, dall’altra, per Paesi come Spagna e Portogallo nuovi rialzi dei tassi forse non sarebbero necessari.

LE DIFFICOLTÀ PER LA BCE

Dopo anni di stimoli monetari elevati e tassi di interesse negativi, Lagarde si trova oggi a gestire una situazione particolarmente complessa: l’impennata dell’inflazione nel 2022 ha reso necessaria l’attuazione di una politica monetaria restrittiva con una rapidità senza precedenti nella storia dell’Eurozona, che potrebbe condurre a conseguenze negative, ad esempio sul fronte dell’indebolimento della domanda di prestiti bancari che, a sua volta, potrebbe causare un rallentamento dei consumi e della crescita di svariati settori, dall’immobiliare all’edilizia.

Per i prossimi mesi lo scenario rimane particolarmente incerto e le mosse della BCE dovranno basarsi sulla lettura dei dati di inflazione e crescita economica. Tuttavia, il fatto che “l’inflazione nell’area dell’euro sia troppo elevata e che prevedibilmente lo rimarrà per troppo tempo” fa sì che il Consiglio direttivo della BCE sia pronto ad utilizzare ogni arma a sua disposizione, nei limiti del mandato, per riportare i livelli di inflazione entro l’obiettivo del 2%.

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