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Banche Italiane

Banco Bpm, Ubi, Intesa Sanpaolo. Ecco cosa succede alle banche con lo spread eccitato

L'articolo di Luca Gualtieri, giornalista di Mf/Milano finanza, sull’indebolimento patrimoniale della banche italiane come Banco Bpm, Ubi, Intesa Sanpaolo e Unicredit a causa dello spread 

L’aritmetica dello spread è implacabile: ogni 50 punti base in più di differenziale erodono dello 0,2% il capitale di prima qualità (Cet 1) delle banche italiane. Il calcolo fatto dagli analisti di Citi in un report pubblicato venerdì 5 traccia un bilancio indicativo della tempesta perfetta che ha investito il sistema.

CHE COSA SUCCEDERA’ A BANCO BPM, UBI, INTESA SANPAOLO E UNICREDIT

Se in media nel secondo trimestre gli istituti hanno lasciato sul terreno 40 punti base di patrimonio, il quadro si è aggravato dopo la pausa estiva e per il momento non si vedono segnali di normalizzazione. Ovviamente l’impatto varia da istituto a istituto in base alla consistenza degli attivi ponderati per il rischio (rwa): il fardello maggiore grava su Banco Bpm, che per ogni 50 punti di spread in più vede calare il Cet 1 di 33 punti base. La stima di Citi scende a 28 punti per Ubi (che non a caso ha venduto di recente il 30% dei Btp) e a 18 punti per Unicredit e Intesa Sanpaolo.

CHE COSA DICONO GLI ESPERTI SULL’EFFETTO SPREAD PER LE BANCHE

L’opinione degli esperti è che, se questa situazione si prolungasse nel tempo, la stabilità del sistema sarebbe compromessa. Un ulteriore calo dei titoli di stato imporrebbe infatti agli istituti più fragili manovre di capital management d’emergenza. «Se lo spread si avvicinasse a quota 400, la situazione si farebbe critica e diverse banche saranno costrette a varare piani di rafforzamento patrimoniale», spiega un banker a MF-Milano Finanza.

PERCHE’ SI RISCHIANO AUMENTI DI CAPITALE PER LE BANCHE

Una nuova ondata di aumenti di capitale è insomma uno scenario che non può essere escluso. In un contesto del genere gli istituti potrebbero giocare la carta del consolidamento, mettendo in atto quel processo di m&a rimasto finora lettera morta. Nelle merchant bank infatti i file sono circolati sotto traccia e nessun ceo si è azzardato ad avviare vere e proprie trattative.

I CASI BANCO BPM, CARIGE E CREDITO VALTELLINESE

Se i nuovi vertici di Carige hanno messo in stand by la ricerca di un cavaliere bianco, il Credito Valtellinese potrebbe considerare le opzioni sul tavolo solo dopo l’assemblea straordinaria del 12 ottobre. Banco Bpm è alle prese con un delicato piano di derisking che lo impegnerà almeno fino alla prima metà del 2019, mentre difficilmente Ubi farà qualche mossa prima del rinnovo degli amministratori della primavera prossima.

FUSIONE BANCO BPM E UBI?

L’idea di una fusione tra Banco Bpm e Ubi piace agli analisti, ma presenta non poche problematiche a partire dalla difficoltà di valorizzare due figure molto forti come Giuseppe Castagna e Victor Massiah. Per Bper il consolidamento potrebbe passare attraverso l’integrazione di Unipol Banca che salderà ulteriormente il legame con il gruppo finanziario bolognese (oggi primo azionista al 15%). Ma il vero convitato di pietra di un eventuale processo di consolidamento del settore bancario italiano resta Mps.

MPS IN VENDITA?

Sembra che proprio in queste settimane il Tesoro stia iniziando i primi sondaggi sul mercato per avviare il processo di vendita della banca senese. A breve potrebbe partire la ricerca degli advisor finanziari chiamati a gestire la procedura. La tabella di marcia del resto è serrata ed entro il prossimo mese di giugno l’azionista dovrà mettere nero su bianco tempi e modalità della privatizzazione. Sempre che Bce e DgComp non impongano un’accelerazione del processo, chiedendo nuovo capitale. L’attuale management vedrebbe con favore un’operazione con Ubi o con Banco Bpm, ma il governo giallo verde avrebbe idee diverse e potrebbe spingere per un intervento di Poste sul Montepaschi.

I FONDAMENTALI DELLE BANCHE ITALIANE

Anche se quotano in media a metà del patrimonio tangibile, le banche italiane hanno oggi fondamentali più solidi rispetto a un anno fa: la qualità dell’attivo è migliorata grazie a una decisa riduzione dei crediti deteriorati, i ricavi hanno cautamente ricominciato a crescere e i rischi sistemici sono stati neutralizzati con i salvataggi di Montepaschi e delle due banche venete. C’è poi un elemento che potrebbe favorire eventuali incursioni straniere. A parte Intesa Sanpaolo, tutti i grandi istituti di credito sono diventati delle public company contendibili con un esborso minimo di capitale. L’evoluzione è figlia degli ingenti aumenti di capitale che negli ultimi anni hanno spezzato le gambe agli azionisti storici, a partire dalle fondazioni. Gli enti a cui la legge Amato aveva consegnato la custodia del sistema bancario si sono gradualmente dissanguati per conservare maggioranze o minoranze di blocco che sbarrassero la strada agli stranieri.

(Estratto di un articolo pubblicato su Mf/Milano finanza)

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