Fateci caso: anche due supertifosi del Mes come il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, e il suo vice, Antonio Misiani, entrambi Pd, cominciano ad avere qualche dubbio sulla sua convenienza. E nelle interviste più recenti non appaiono più schierati per «il Mes senza se e senza ma» come in passato. Da abili dialettici, si guardano bene dallo smentire sé stessi: premettono che «il Mes è uno strumento potenzialmente utile e conveniente», ma poi elencano vari distinguo, raffreddando gli entusiasmi che loro stessi avevano alimentato all’interno del governo.
Così ecco Misiani che, intervistato l’altro ieri da Repubblica, gioca più con il freno che con l’acceleratore: «Nessuna opzione può essere scartata a priori, in tempi così difficili. La linea di credito sanitaria del Mes è uno strumento potenzialmente utile e conveniente. Ciò detto, è un prestito, non un contributo a fondo perduto. Il suo utilizzo va valutato in relazione al fabbisogno di cassa, valutandone i pro e i contro a confronto con le alternative a disposizione del governo». Anche il ministro Gualtieri non sembra più così impaziente di attivare il Mes, tanto da ammettere: «Non è la panacea di tutti i mali, e sarebbe impreciso dire che non c’è condizionalità».
Come mai questa virata, che sa di retromarcia? Di certo, Gualtieri e Misiani non si sono convertiti al credo sovranista dei leghisti Alberto Bagnai e Claudio Borghi. Più probabile, invece, che i loro distinguo siano stati ispirati da alcuni report bancari sul Mes. Sì, perché il Pd, nel bene e nel male, è da tempo il partito più in sintonia con le banche. E se le banche dicono che «il Mes assomiglia alla mela di Biancaneve, dalla forma e dal colore perfetto, ma avvelenata», Gualtieri, Misiani, Zingaretti e tutto il cucuzzaro piddino incassano e si allineano.
Il paragone tra il Mes sanitario e la mela avvelenata di Biancaneve, guarda caso, è la tesi di fondo di un report del centro studi di due banche, Banca Generali e Saxo Bank, firmato da Althea Spinozzi, analista finanziaria, e pubblicato sul web da Startmag.it pochi giorni fa. La stroncatura è già nell’incipit: «Il Mes (Meccanismo europeo di stabilità) è uno strumento ormai obsoleto e mette a rischio la sovranità dei paesi membri dell’Unione europea. Il rischio di diluizione, l’aumento dei costi di rifinanziamento del governo e la stigmatizzazione sono alcune delle minacce che si troverebbero ad affrontare i paesi che vi fanno ricorso per ottenere fondi a un tasso di interesse minore. Alle nazioni europee conviene raccogliere fondi sul mercato dei capitali, piuttosto che chiedere un prestito al Mes».
La tesi sbandierata per mesi dal Pd, secondo la quale l’Italia potrebbe ottenere 36 miliardi a un tasso molto basso per la sanità, viene smentita dai fatti. Poiché l’ammontare massimo del prestito che un paese può richiedere è pari al 2% del pil, l’Italia, con un pil di 1,8 trilioni, potrebbe sì chiedere, ma solo in teoria, 36 miliardi, ottenendo più tranche del 15% per volta. Ma nei fatti ciò è impossibile, spiega l’analista Spinozzi: «L’Italia non potrebbe chiedere 36 miliardi di euro di fondi in quanto non ha speso tale ammontare per fronteggiare l’emergenza Covid. Finora, in base ai dati del ministero dell’Economia, l’Italia ha stanziato 9,5 miliardi per investimenti nel sistema sanitario. Inoltre, le spese riconducibili ai servizi sanitari nazionali nel 2019 ammontano a circa 114 miliardi di euro: ciò rende difficile dimostrare che il 30% del budget sanitario sia destinato esclusivamente alle spese relative al Covid-19».
Più avanti: «I fondi del Mes sono senior rispetto ai crediti sovrani. Questo porta ad un rischio diluizione, che può influire negativamente sulla struttura del debito della nazione che vi fa ricorso. Ciò significa che, per ricevere 9 miliardi di euro, l’Italia deve cambiare la struttura del rimborso del debito, concedendo la priorità al Mes a discapito dei creditori sovrani, i quali richiederanno maggiori rendimenti sui titoli, dato l’ingresso di un nuovo creditore da rimborsare prima di loro. Quindi il compromesso per ricevere 9 miliardi di euro a basso tasso d’interesse, causando un repricing di 2 trilioni di euro di titoli di stato, oltre che dispendioso, è anche svantaggioso».
L’analista Spinozzi spiega altri aspetti negativi: «Il Mes impone condizionalità, il debito sovrano no. Al contrario di quel che avviene sul mercato dei capitali, accedendo al Mes, una nazione viene messa sotto sorveglianza speciale per garantire che il debito sia ripagato». Anche la convenienza del tasso d’interesse è solo presunta: «I tassi di interesse del Mes sono variabili e dipendono dallo schema di finanziamento del programma. Ad esempio, la Spagna aveva fatto ricorso ai prestiti Mes nel 2013 a un tasso di 40 bps (basic points), ma è arrivata a pagare fino a 100 bps nel 2014 perché la strategia di finanziamento del Mes è passata dall’emissione di titoli a breve termine a quelli a lungo termine. Quando l’Italia emette i Btp, può scegliere una scadenza conveniente e il costo del finanziamento, cosa che non potrebbe fare con il Mes».
Ancora: «Il ricorso al Mes potrebbe far sembrare che la nazione è finanziariamente instabile, fornendo un quadro distorto della situazione italiana. L’Italia, invece, può accedere al mercato dei capitali senza problemi: il 22 ottobre ha emesso Btp per 8 miliardi con scadenza a 30 anni, a fronte dei quali ha ricevuto ordini per 90 miliardi. In questo contesto, i fondi del Mes assomigliano molto alla mela avvelenata di Biancaneve. Dal nostro punto di vista, è chiaro che il Mes è uno strumento obsoleto, creato per nazioni in difficoltà finanziaria durante la crisi bancaria del 2012. L’Ue farebbe bene a sbarazzarsi di un tale strumento obsoleto».