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Autostrade

Autostrade, ecco perché M5S di Luigi Di Maio tampona la famiglia Benetton

I Graffi di Damato sugli obiettivi del Movimento 5 Stelle di Luigi Di Maio nelle critiche ad Autostrade per l'Italia del gruppo Atlantia (Benetton)

Si chiude o si riduce una falla e se ne apre o riapre un’altra nella maggioranza gialloverde di governo, che pure era nata in primavera fra molte speranze, come soluzione non solo obbligata della crisi post-elettorale ma anche come una svolta autentica, utile a mettere alla prova forze relativamente nuove. E ciò anche se -in verità- la Lega è ormai il più vecchio dei partiti sulla scena, essendo nata nel 1989 e provenendo gli altri da formazioni trasformatesi nei nomi e nei programmi, ma tenendosi ben stretti vecchi e a volte persino antichi dirigenti.

Sopito in qualche modo lo scontro sui rapporti con la magistratura nel triangolo Agrigento-Palermo-Roma dopo la contestazione formale del sequestro di persona al ministro leghista dell’Interno Matteo Salvini, naturalmente per la vicenda degli immigrati pur soccorsi in alto mare dalla nave Diciotti della Guardia Costiera italiana, è riesploso lo scontro a Genova per la ricostruzione del ponte autostradale Morandi, crollato alla vigilia di Ferragosto provocando 43 morti.

Lo scontro, in verità, sarebbe in apparenza fra i ministri grillini Luigi Di Maio e Danilo Toninelli da una parte e il governatore forzista, cioè berlusconiano, della regione Liguria Giovanni Toti dall’altra. Che come commissario straordinario nominato dal governo per l’emergenza genovese ritiene di avere voce in capitolo anche sui tempi e sui modi della ricostruzione. E che invece i grillini ritengono si debba occupare solo degli sfollati, del traffico e non so cos’altro: di sicuro non di chi dovrà realizzare il nuovo viadotto, e in particolare della società Autostrade, ancora concessionaria di quell’infrastruttura.

Proprio perché ancora concessionaria, quella società secondo Toti andrebbe coinvolta nella ricostruzione, magari insieme con altre imprese, anche pubbliche, non foss’altro per evitare ricorsi che bloccherebbero a lungo la ricostruzione. Per la quale peraltro esiste già un progetto generosamente offerto dall’architetto genovese, e non a caso senatore a vita, più noto e apprezzato nel mondo: Renzo Piano.

Ma Toti non è solo un esponente del partito di Silvio Berlusconi, al cui nome soltanto i grillini saltano sulla sedia se vi sono seduti, o cadono a terra se sono in piedi. Egli governa la Liguria in alleanza con i leghisti, che a Roma come a Genova ne condividono e sostengono la posizione sulla ricostruzione del ponte, contraria quindi all’esclusione pregiudiziale della società Autostrade. Che per le responsabilità della caduta del viadotto è indagata dall’autorità giudiziaria, ma insieme a esponenti del Ministero delle Infrastrutture costretti proprio dal loro coinvolgimento nelle indagini a dimettersi dalla commissione d’inchiesta amministrativa ordinata dal ministro grillino Toninelli.

L’ostilità dei grillini alla società Autostrade, e al maggiore azionista che è la famiglia Benetton, nasce -nel loro stile, diciamo così- da ragioni politiche, d’immagine, e non solo dalla convinzione che essa sia l’unica responsabile del disastro. Sono ragioni politiche e d’immagine che hanno già indotto i grillini a rappresentare come una specie di associazione a delinquere quella immaginata fra la famiglia Benetton e tutti i governi, e relativi partiti, fra i quali ci sarebbe però anche la Lega, che le avrebbero concesso favori ricevendone in cambio altri. Ci vorrebbe un processo per appurarlo, ma il presidente del Consiglio in persona, Giuseppe Conte, pur non ancora convinto del tutto della necessità di revocare le concessioni autostradali per nazionalizzare il settore, sì è lasciato scappare proprio a Genova che il governo nelle sue valutazioni e decisioni non può aspettare “i tempi della giustizia penale”.

In questa situazione, con questo modo di vedere uomini, cose e situazioni, non ha francamente torto l’ex direttore di Repubblica Ezio Mauro a definire, come ha appena fatto in un editoriale, quelli grillini, e il più alto in grado partitico fra di loro che è Luigi Di Maio, “ministri dell’Etica della Nazione”, con le maiuscole.

E’ da ministro dell’etica nazionale che il vice presidente del Consiglio a 5 stelle si permette un linguaggio francamente da querela, peraltro al riparo di quel che resta dell’immunità parlamentare: poco ma abbastanza per risparmiargli cause di diffamazione. Egli liquida per “furti” i diritti altrui acquisiti e non condivisi dalla sua parte politica, o dalla maggioranza di turno, per cui dà, per esempio, dei “disonorevoli” a quei settecento e rotti ex deputati che hanno presentato ricorsi contro i tagli apportati ai loro vitalizi: ricorsi che il presidente pur grillino della Camera, Roberto Fico, ha invitato il suo collega di partito a considerare legittimi, pur rimanendo convinto della bontà o giustezza sociale dell’intervento.

Se gli ex parlamentari diventano “disonorevoli” nel momento in cui usano il loro diritto al ricorso, i dipendenti della Rai assunti per raccomandazione negli anni passati diventano automaticamente per Di Maio “parassiti” da licenziare alla prima occasione utile, quando la nuova maggioranza di governo potrà disporre dell’ente come le precedenti, superato il vuoto creatosi alla presidenza dell’azienda con la bocciatura parlamentare del leghista Marcello Foa.

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