I processi di transizione (digitale e tecnologica in primis, come pure politica, sociale ed economica) e i cambiamenti strutturali che ne conseguono hanno un ruolo centrale nel dibattito pubblico odierno e nello studio dei sistemi socio-economici e degli equilibri internazionali. Si tratta di fenomeni non lineari, che spesso anzi subiscono deviazioni e battute d’arresto, e implicano impegnativi e costosi processi di adattamento con un impatto non uniforme sui diversi settori produttivi e fasce sociali.
Al fine di comprendere i cambiamenti dei rapporti di forza nella politica mondiale e la direzione delle tendenze future che le stesse transizioni determinano, l’Istituto Affari Internazionali (IAI) ha analizzato le sinergie tra le diverse transizioni e gli attori (pubblici e privati) coinvolti, applicate a tre settori specifici (tabacco, energia e automotive), con l’obiettivo di suggerire nuove policy e modalità di approcciare le sfide sul tavolo. Questo studio (condotto in collaborazione con Philip Morris Italia) esamina le sinergie tra le diverse transizioni e gli attori (pubblici e privati) coinvolti, applicate a tre settori specifici (tabacco, energia e automotive), in alcuni Paesi campione molto differenti tra loro (Italia, Germania, Messico, Giappone, Nuova Zelanda e Arabia Saudita).
L’obiettivo è quello di suggerire nuove policy e modalità di approcciare le sfide sul tavolo in un mondo caratterizzato da un sempre maggior numero di crisi che, in rapida successione, hanno investito il sistema internazionale (come i cambiamenti climatici, l’epidemia di Covid-19 e la guerra in Ucraina). Tali crisi hanno per certi versi accelerato, ma per altri considerevolmente complicato i processi di transizione, mettendo i governi nazionali e gli organismi della governance globale di fronte a nuove sfide cui è possibile rispondere solo con metodi e approcci diversi dal passato.
Guardando ad alcuni settori produttivi del mercato internazionale, dove sono in atto importanti transizioni, ci si accorge in maniera ancora più evidente di quanto il carattere pragmatico degli obiettivi che le transizioni si pongono incontri le ambizioni che il legislatore si pone nell’affrontare la transizione stessa. Analizzando il comparto tabacchicolo, dove la transizione si traduce nel passaggio dai prodotti tradizionali a quelli di nuova generazione (es. e-cigs e prodotti a tabacco riscaldato) si rileva come le principali tendenze di policy dei singoli stati e delle organizzazioni internazionali (come nel caso di Unione europea e Organizzazione mondiale della sanità) si dividano tra approcci di sostanziale chiusura all’innovazione, anche mediante l’applicazione di divieti di produzione e commercializzazione graduali e diffusi a tutti i prodotti del tabacco (inclusi dunque quelli di nuova generazione come nel caso del Messico), e una spinta (con la conseguente transizione, dunque) verso l’innovazione che contempli e consideri la decisione delle multinazionali leader del settore a investire nella ricerca per l’ideazione di prodotti tecnologici (come le e-cig), come nel caso neozelandese. Altri esempi che seguono quest’ultimo approccio sono il Regno Unito (dove la transizione risulta più simile alla Nuova Zelanda), che sta investendo in maniera significativa sui prodotti alternativi per incidere in maniera positiva sul tasso di fumatori, e che punta anche a un coinvolgimento più attivo degli attori e alla scelta libera e consapevole del consumatore nell’utilizzo del prodotto; la Svezia, che sta per diventare il primo Paese libero dal fumo grazie all’uso di prodotti alternativi al tabacco; e la Repubblica Ceca, che nel 2019 ha approvato la National Strategy to Prevent and Reduce the Harm Associated with Addictive Behaviour, e che, anche a fronte dell’imposizione fiscale, vuole conservare una certa differenziazione tra i vari prodotti di vecchia e nuova generazione.
Gli effetti delle transizioni e dei cambiamenti strutturali dei sistemi politici nazionali continuano ad avere un ruolo centrale nel dibattito pubblico odierno e nello studio dei sistemi socio-economici e degli equilibri internazionali. Inoltre, guardando all’orizzonte italiano tale analisi può aiutare il raggiungimento di alcuni obiettivi prioritari per il sistema politico nazionale. Premesso che il fenomeno delle transizioni occupa un ruolo centrale nell’evoluzione dei rapporti tra gli attori statali (nelle loro diverse articolazioni istituzionali), le varie nicchie di potere e la governance multilivello in un mondo sempre più interdipendente, resta di primaria importanza: comprendere come (e se) modificare la narrazione sulle transizioni; aiutare il dialogo tra i settori pubblico e privato per individuare nuove traiettorie di policy per affrontare le transizioni in corso e future ed evitare forti ideologizzazioni, con effetti, in particolare, sulle politiche industriali dei singoli Paesi europei; assicurare un posizionamento virtuoso dell’Italia in particolare per attrarre nuovi potenziali investitori stranieri, che rappresentano un volano per tutto il territorio e il sistema-paese. In tal senso, va fatta salva una certa attenzione nei confronti di alcune filiere strategiche per il Paese, dalla profonda vocazione manifatturiera.
Tra le raccomandazioni viene inoltre ricordato che le transizioni scaturiscono da un cambiamento negli equilibri di potere, dettato da fattori esogeni e da dinamiche endogene (relative alla loro durata, alla più o meno spiccata multisettorialità, e alla linearità o meno dei processi). Esse, dunque, creano (come nel caso delle grandi rivoluzioni) cambiamenti strutturali nelle società che ne sono investite. Ne scaturisce la necessità di riconsiderare e rivedere la narrazione sulle transizioni che vanno sempre analizzate a livello globale, e, da un punto di vista temporale, non solo nelle loro conseguenze, ma anche nella fase della pianificazione e dello sviluppo dei processi. È parimenti necessario esaminarle non solo da un punto di vista normativo, ma anche pratico, attraverso un approccio più critico. Occorre immaginare politiche che siano tailor-made, in grado di individuare i diversi bisogni degli stakeholder interessati dai processi di transizione.
A ciò, si legge nel report, va collegata la necessità di prevedere, e dunque individuare, possibili strozzature e colli di bottiglia, che possano frenare o rallentare la transizione e i processi di innovazione che vi sono connessi. Tali strozzature possono derivare da resistenze sociali, legittime preoccupazioni di consumatori e operatori economici, o dalla stessa incertezza sugli sviluppi futuri delle transizioni. In tal senso, è necessaria un’attenta valutazione delle cause di queste difficoltà e dei possibili antidoti sul piano politico. Il caso europeo è particolarmente rilevante al riguardo: a fronte delle diverse posizioni degli stati membri (che riflettono interessi nazionali spesso non collimanti, quando non divergenti), manca ancora un confronto approfondito su come affrontare i problemi e le opportunità delle transizioni. A questo gap si deve, in alcuni casi, la tendenza all’assunzione di decisioni da parte degli organi esecutivi che non coinvolgono adeguatamente quelli legislativi, aumentando il deficit democratico. Appare, dunque, necessario per guidare e governare efficacemente le transizioni, evitando ritardi e marce indietro, agire sul fattore tempo secondo i suggerimenti degli analisti: per fare ciò, risulta sempre più centrale un esercizio di foresight e forecast, che consenta di comprendere meglio la dinamica delle transizioni, le crisi che possono innestare, e di mettere a fuoco l’interdipendenza tra i settori interessati. Centrale – raccomandano gli autori del report – è il concetto di sistema-Paese per favorire l’internazionalizzazione degli interessi (non solo economici) e promuovere nuovi modelli. È perciò fondamentale comprendere in quali settori un Paese (come ad esempio l’Italia) possono realizzare uno sviluppo più avanzato ricavandone i maggiori benefici in termini economici e di innovazione. Per supportarli bisogna attivare strumenti sostenibili nel più lungo termine, inclusi quelli per l’attrazione di investimenti esteri diretti nei settori produttivi più dinamici e innovativi. Resta fondamentale – suggeriscono gli analisti – far sì che ambiti quali la tecnologia e l’innovazione continuino a ricoprire un ruolo di primaria importanza nella gestione delle transizioni. A tal fine, è necessario per gli autori del report che si dia più spazio al dibattito sul ruolo delle innovazioni nei diversi settori, identificando le tecnologie più promettenti da incentivare per portare a termine con successo le transizioni. Per quel che riguarda il mercato, infine, e dunque anche i consumatori, la sua evoluzione può trarre beneficio da una maggiore consapevolezza della direzione verso cui la società si muove. È qui che il dialogo tra pubblico e privato risulta fondamentale, anche in un’ottica previsionale. Ai consumatori, in particolare, va offerto un quadro adeguato delle prospettive di passaggio a prodotti alternativi, rendendoli disponibili e incoraggiandone l’utilizzo.