Sui dati dell’occupazione pubblicati da Istat si sono replicate ovazioni per una crescita notevole che peraltro è dovuta essenzialmente ad una stagionalità riferita a luglio scorso che merita attenzione. Infatti, avvicinandosi l’appuntamento annuale del Def e della legge di bilancio sul tema lavoro, occupazione e mercato, ciò che nutre perplessità è riferito per esempio al dato asilo nido, che ospitano ovviamente bambini fino a tre anni di genitori lavoratori; per lungo tempo ci siamo augurati di raggiungere quella percentuale del 33% europea, che ora si avvicina al 30% ma è legata soprattutto all’inverno demografico sul quale bisogna lavorare intensamente per sostenere la natalità strutturalmente con risorse già usate del Pnrr, di cui non abbiamo dati riferiti al potenziamento dei servizi per l’infanzia già operativi e che ovviamente sosterrebbero l’occupazione familiare e femminile.
La Legge di Bilancio 2024 ha previsto l’esonero della contribuzione previdenziale, fino ad un massimo di 3.000 euro annui, per le lavoratrici madri che abbiano almeno tre figli e in via sperimentale, per il 2024, il bonus è attribuito anche in presenza di due figli di cui almeno uno con un’età inferiore a 10 anni. Sappiamo che la percentuale di numeri di figli in Italia è di 1,4 quindi applicare una norma per famiglie più numerose rimane abbastanza pleonastico. Inoltre, anche per il 2024 è possibile applicare l’esonero contributivo previsto dagli artt. 4, cc. 9-11 L. 92/2012, seppur con qualche significativa novità rispetto al passato.
Infatti (e ricordiamo: sono risorse del Fondo sociale Europeo) a partire dal 1 gennaio 2024, il beneficio si è ridotto dal 100% al 50% dei contributi a carico dei datori di lavoro, inclusi i contributi Inail, senza alcun massimale annuo di decontribuzione (in passato fissato a 8000 euro). La fruizione dell’esonero è legata ad una serie di requisiti della lavoratrice da assumere, alternativi tra loro: almeno 50 anni di età e disoccupata da oltre 12 mesi; priva di impiego regolarmente retribuito da almeno 24 mesi di qualsiasi età, ovunque residente; priva di impiego regolarmente retribuito da almeno 6 mesi e di qualsiasi età, residente in un’area svantaggiata oppure con una professione o di un settore economico caratterizzati da accentuata disparità occupazionale di genere.
Ci chiediamo dunque: se le scelte sono annuali e non strutturali, con la speranza di rinnovarli come possiamo irrobustire l’occupazione femminile italiana?
A fine luglio la crescita occupazionale italiana è stata determinata dai lavoratori autonomi (75mila unità in un mese) e però la maggioranza delle persone inattive, 63mila sono donne e si concentrano soprattutto tra giovani sotto i 35 anni fino ad arrivare a ben più 54mila. Dunque le lavoratrici “grandi” sono occupate discretamente e le disoccupate sono le giovani. Appunto in età da poter costruirsi un progetto di vita e famiglia.
Recentemente, poi, i dati del sistema della struttura del Ministero del lavoro per la presa in carico e avviamento al lavoro dei disoccupati ha messo in luce il grave problema delle modeste pratiche avviate. Dobbiamo ovviamente chiarire la questione dell’assegno universale ancora in ombra e giustamente criticato dalla Commissione europea per l’esclusione delle famiglie immigrate che stabilmente sono in Italia e che peraltro fanno studiare i propri figli in Italia (a proposito di diritto di cittadinanza) e riordinare le decontribuzioni in un contesto tributario che coinvolge l’imposta sul reddito. Vero è, come afferma Giorgetti, che i conti sono numeri, il disallineamento occupazionale con il Pil è evidente, il bilancio dello Stato chiama a responsabilità su equilibrio di minori spese e maggiori entrate e riordino delle priorità tra le quali, ovviamente, dobbiamo operare per una crescita della produttività che ci obbliga a investimenti sulle competenze e formazione anche per avere una strategia illuminata per contrastare occupazioni basse e invece conquistare una quota maggiore di lavori di livello più alto che significano anche salari più adeguati.