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Famiglia

Assegno unico e non solo: cosa non va negli aiuti alle famiglie?

Che fine farà l'assegno unico alle famiglie. L'intervento di Alessandra Servidori

L’assegno unico alle famiglie doveva essere, fin dal governo Draghi, finalmente la riforma dei vari sostegni che negli anni si sono accavallati a favore dei nuclei. Ma oggi si evidenziano problemi che ovviamente occorreva prevedere, come la riforma fiscale e l’Isee di riferimento per avere il diritto al sistema di accesso; la questione dell’esclusione di alcune famiglie immigrate, per cui ci becchiamo la sanzione dalla Ue; e il mancato adeguamento dell’assegno al costo della vita.

Risultato: siamo di nuovo alle strette per mancanza di risorse certe e soprattutto stabili, e le famiglie sempre più esposte alla povertà relativa e spesso anche assoluta. Anche per i nuovi vincoli che abbiamo sottoscritto con la Ue bisogna cambiare registro. E la situazione è molto delicata perché i conti non tornano e gli uffici ministeriali (e i ministri con portafoglio) sono chiamati a presentare dati e numeri certi.

Ecco che ancora una volta si evidenzia la mancanza di quella infrastruttura tecnica a supporto del policy making presente negli altri Paesi europei. Come ha scritto Maurizio Ferrera, da noi lo sviluppo dello Stato sociale è avvenuto tramite l’espansione della spesa per trasferimenti e servizi pubblici (il “sociale”, appunto), senza un parallelo rafforzamento e articolazione delle capacità statuali indispensabili per programmare, attuare, monitorare, valutare e correggere le varie misure, in relazione ai loro effetti.

“Questo deficit”, prosegue Ferrera, “è il principale responsabile degli squilibri interni che ancora caratterizzano lo Stato sociale italiano, nonché del suo scollamento rispetto al proprio corrispettivo sul versante del prelievo, lo Stato fiscale. Senza capacità di governo, le politiche pubbliche non ‘imparano’, ogni riforma riparte da zero. Nel settembre del 2022, la Commissione aveva invitato i governi ‘a effettuare sistematicamente valutazioni d’impatto distributivo’ sia ex ante sia in seguito all’attuazione. Un orizzonte temporale di quattro anni e mezzo consentirebbe di effettuare un investimento straordinario in capacità istituzionali e di trarne subito vantaggio in termini di qualità delle politiche pubbliche”.

Ecco: vogliamo procedere in questa direzione o continuare a sbagliare?

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