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Lootbox

Il Fifa di EA perde la partita: le figurine virtuali sono gioco d’azzardo

Passaggio in giudicato della sentenza austriaca che equipara le lootbox di Fifa all'azzardo. Sony, probabilmente per evitare di pubblicizzare troppo il processo e veder fiorire cause analoghe, ha preferito non impugnare

Le figurine tradizionali, plastificate per essere collezionate in appositi raccoglitori o col retro adesivo per poter essere appiccicate, rigorosamente sbilenche, in coloratissimi album, hanno accompagnato l’infanzia di milioni di occidentali. La versione virtuale, però, acquistabile nei videogame, secondo alcuni giudici configura persino il gioco d’azzardo, nonostante si fondi sul medesimo meccanismo logico: acquistare un pacchetto dal contenuto ignoto per collezionare oggetti.

LE LOOTBOX SONO GIOCO D’AZZARDO?

Il 26 febbraio, il Tribunale distrettuale di Hermagor in Carinzia, Austria, ha classificato i pacchetti di FIFA Ultimate Team come lootbox (scatole dal contenuto ignoto) paragonabile al gioco d’azzardo. Si tratta di una modalità secondaria del ben noto titolo sportivo dell’americana Electronic Arts che prevede ci costruire la propria squadra del cuore sulla base di microtransazioni, vale a dire acquisti in game, di figurine di calciatori virtuali.

Per i severissimi giudici austriaci, però,  i giocatori contenuti nei pacchetti FUT possono essere ceduti sul mercato secondario a scopo di lucro. Insomma, se nell’intervallo, a scuola, chiunque di noi abbia giocato con le figurine di carta, anziché scambiarle con gli amici avesse imbastito un mercato nero, per il medesimo principio logico avrebbe trasformato il comparto in qualcosa di vietato, con la possibilità di muovere causa all’editore o alle edicole… Infatti, il ricorso non era contro Electronic Arts, che ha sviluppato e prodotto il gioco, perché l’acquisto era stato completato su PlayStation e dunque la responsabile dello store, la giapponese Sony Interactive Entertainment è stata individuata quale parte contraente del transato.

LA CURIOSA MOSSA DI SONY

L’aspetto interessante è che Sony avrebbe potuto presentare ricorso fino al 3 aprile per portare il caso al Tribunale regionale della Carinzia, ma secondo quanto riporta GamesMarkt la Casa nipponica ha preferito soprassedere: “Il rappresentante dell’imputato non ha fatto ricorso”, ha dichiarato Gernot Kugi, giudice del Tribunale Regionale e vice portavoce dei media. Ora, insomma, “la sentenza del BG Hermagor è legalmente vincolante dal 3 aprile 2023”.

La sentenza non è stata pubblicata, si sa solo che Sony dovrà restituire alla parte attrice i 336,26 euro spesi per l’acquisto delle figurine FUT individuate come Lootbox. Una cifra esigua per il colosso dell’intrattenimento ma che rischia di spalancare le porte dei tribunali a centinaia di migliaia di ricorsi analoghi.

Il marchio Fifa del resto attrae ogni anno milioni di giocatori. Non sono disponibili i numeri esatti, ma sappiamo che, secondo i dati della casa di analisi GFK, il penultimo titolo di EA Sports, Fifa 22 (così da avere un contesto) è stato il gioco più venduto del 2022 in 17 Paesi del Vecchio Continente sui 19 presi in esame.

TUTTI CONTRO LE LOOTBOX

Naturalmente, quanto statuito col passaggio in giudicato dal Tribunale distrettuale di Hermagor non ha alcun valore vincolante né in Austria, né tanto meno presso le altre Corti europee. Ma è indicativo del rischio che simili microtransazioni in game comportano, sia per gli sviluppatori sia per i proprietari della piattaforma sulla quale avviene la transazione.

C’è anche chi ipotizza, difatti, che Sony abbia deciso di risarcire il danno dell’utente proprio per non dare ulteriore visibilità al fatto ed evitare una epidemia di class action non solo in Europa ma anche negli Usa e in Giappone. Soltanto in Austria, secondo quanto riferito dalla stampa locale, diverse centinaia di altri potenziali querelanti con casi simili si sarebbero già fatti avanti.

Inoltre, alcuni Paesi dell’Ue hanno già approntato divieti nelle proprie legislazioni mentre recentemente il Parlamento Ue ha invitato la Commissione “ad analizzare il modo in cui vengono vendute le lootbox e ad adottare le misure necessarie per realizzare un approccio europeo comune, al fine di garantire la protezione dei consumatori.”

Gli eurodeputati in particolare hanno messo in guardia sulla pratica della “coltivazione dell’oro (dall’inglese gold farming ovvero la pratica che consiste nell’acquisire valuta di gioco, per venderla in cambio denaro reale). Allo stesso modo gli oggetti ottenuti nei giochi, così come profili utente completi possono essere scambiati, venduti o scommessi con valute reali, in contrasto con i termini e le condizioni applicati dagli editori di videogiochi.”

“Queste pratiche – ammoniscono gli europarlamentari – possono essere utilizzate nei paesi in via di sviluppo come veicolo per il riciclaggio di denaro, il lavoro forzato e lo sfruttamento minorile. Per questo motivo il Parlamento ha invitato le autorità nazionali a porvi fine”.

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