Quando, il 1° luglio 2015, il legislatore italiano decise di estendere la soglia esentasse per i soli buoni pasto elettronici da 5,29 a 7 euro, a fronte di un costo complessivo per lo Stato di 58,5 milioni di euro (nel biennio 2015 – 2017), la misura ha saputo stimolare un extra gettito Iva di 248 milioni di euro, con un ritorno per la finanza pubblica di 189 milioni di euro. L’intervento generò insomma un valore netto superiore di tre volte al suo costo.
Cosa significa? Che al contrario di tanti bonus e agevolazioni che si disperdono in rivoli difficilmente misurabili quell’intervento si rivelò concreto, riuscendo a spingere i consumi e ad aumentare il potere d’acquisto del ceto medio che, si sa, è costantemente eroso da una situazione economica mondiale il cui barometro è da troppi anni tendente verso la tempesta. La domanda perciò ora è: quali potrebbero essere gli effetti di una misura analoga che porti la soglia esentasse dei buoni pasto da 8 a 10 euro?
GLI EFFETTI DI UNA ESTENSIONE DELLA SOGLIA ESENTASSE
Se lo sono chiesto gli autori del report realizzato da TEHA Group in collaborazione con Edenred Italia che analizza gli impatti di una misura che favorirebbe quei 3,5 milioni di lavoratori che attualmente beneficiano dei buoni pasto.
Lo studio dimostra che anche questa nuova estensione della soglia esentasse genererebbe, al pari della precedente, un risultato netto positivo per l’erario.
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BENEFICI CONCRETI E SUL TERRITORIO
A fronte infatti di un costo per lo Stato (per la precisione, di un minor gettito) stimato tra 75 e 90 milioni di euro, l’aumento dei consumi si tradurrebbe in un maggior gettito Iva compreso tra 170 e 200 milioni di euro, con un beneficio netto finale per le casse dello Stato tra 95 e 110 milioni di euro.
Insomma, si darebbe ai 3,5 milioni di lavoratori la possibilità di spendere di più, tirando la volata ai consumi e alimentando le economie del territorio, le più colpite dall’attuale stagnazione economica. In tutto ciò pure l’erario festeggerebbe, perché più consumi significa maggiori incassi sul fronte dell’Imposta sul valore aggiunto.
“La nostra analisi parte da un dato oggettivo: l’inflazione ha generato un gap importante nella spesa alimentare, una voce di bilancio fondamentale per le famiglie, specialmente per il ceto medio,” ha spiegato Lorenzo Tavazzi, Senior Partner e Board Member di TEHA Group. “Il nostro modello quantifica l’impatto di un potenziamento del buono pasto come risposta a questa criticità, rivelando che un aumento della soglia a 10 euro si tradurrebbe in un beneficio netto per lo Stato compreso tra 95 e 110 milioni di euro. È una misura che, dai dati, mostra un chiaro allineamento tra l’interesse del lavoratore e la sostenibilità della finanza pubblica”, ha concluso Tavazzi.
BENEFICI PER IL PIL E L’OCCUPAZIONE
Lo studio proietta anche gli impatti di un aumento graduale e programmato della soglia da 8 a 11 euro nel triennio 2026-2028. Questa visione a lungo termine mostra come la misura possa agire da acceleratore di crescita strutturale. Le proiezioni indicano un aumento dell’impatto del settore sul Pil nazionale, passando dallo 0,75% del 2023 allo 0,94% nel 2028 e un incremento dei posti di lavoro sostenuti, che crescerebbero da 220.000 a 275.000.
“Aumentare la soglia di esenzione fiscale del buono pasto è una scelta strategica che genera valore per l’intero ecosistema,” la considerazione di Fabrizio Ruggiero, Amministratore Delegato di Edenred Italia. “Avere un buono pasto da 10 euro per le imprese significa creare le premesse per investire con più efficacia nelle politiche di welfare, migliorando la capacità di attrarre e trattenere talenti. Per chi lavora, e in particolare per il ceto medio, è un sostegno concreto al potere d’acquisto in un momento segnato dall’inflazione. Per gli esercenti, si traduce in maggiori entrate e in una clientela più ampia”, la conclusione del Ceo.