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Scuola dell’infanzia e asili nido, presente e futuro

Il post di Alessandra Servidori   Secondo il MIUR la scuola dell’infanzia fa parte del Sistema integrato di educazione e istruzione dalla nascita ai sei anni, ed è il primo gradino del percorso di istruzione, ha durata triennale, non è obbligatoria ed è aperta a tutte le bambine e i bambini di età compresa fra…

 

Secondo il MIUR la scuola dell’infanzia fa parte del Sistema integrato di educazione e istruzione dalla nascita ai sei anni, ed è il primo gradino del percorso di istruzione, ha durata triennale, non è obbligatoria ed è aperta a tutte le bambine e i bambini di età compresa fra i tre e i cinque anni.

Poco o quasi si dedica riflessioni alle scuole paritarie dell’infanzia ma vero è che il diritto/dovere di istruzione/insegnamento è, tra i diritti sospesi o limitati a causa del nuovo Coronavirus e delle sue maledette mutazioni, ed è quello che rischia di avere un ripristino più dilazionato nel tempo.

I mezzi a disposizione per convertire le scuole a un nuovo ordine che garantisca sicurezza sanitaria e pieno esercizio del diritto e le difficoltà intrinseche al distanziamento dei bambini più piccoli rischiano di essere un vero rompicapo per il Governo, che ancora oggi con il dilagare delle varianti dopo la prima riapertura in zona bianca sulla scuola temporeggia. Giustamente.

Sappiamo che in questo contesto la crisi economica derivante dalla pandemia ha provocato la scelta delle famiglie dalle scuole paritarie a quelle pubbliche, per evidenti minori costi da affrontare. Questo è sicuramente un problema non solo per le scuole paritarie come parte integrante del sistema scolastico, ma anche considerando che, specie in questo momento di scarsità di risorse del sistema scolastico pubblico, le scuole paritarie possono comunque fornire, con i loro spazi e le loro risorse, un forte aiuto e supporto in ottica sussidiaria.

Meno scuole pubbliche paritarie non vuol dire solo più studenti che passano alle scuole pubbliche statali, con i problemi di ordine sanitario ed economico che conosciamo, ma anche sottrarre il principale fornitore sussidiario del servizio scolastico che, proprio ora, si rivela comunque utilissimo.

Analizzando i costi attuali a carico della spesa pubblica delle scuole paritarie e il costo stimato a causa di un loro abbandono, l’Istituto Leoni ha proposto che tra gli interventi di ordine economico che la politica sta predisponendo in ogni settore e sostanzialmente per ciascuna categoria di lavoratori, servizi, imprese e famiglie, vi sia anche un intervento a favore delle famiglie degli studenti delle scuole paritarie nelle forme e nel quantum che saranno giudicate più opportune (es. detrazione, voucher o deduzione).

A titolo di esempio, ipotizzando un contributo pari alla metà del costo medio per studente, come identificato dal MIUR, per la platea di studenti pari al 33% , comporterebbe un costo per lo Stato di 2,4 miliardi che si confronterebbero con un costo, nell’ipotesi di passaggio alla scuola statale, di almeno 4,9 miliardi.

Alternativamente, si potrebbero adottare i costi standard che comporterebbero una riduzione di circa 270 milioni di euro rispetto ai costi medi del MIUR. Questo contributo sostituirebbe gli attuali contributi diretti e indiretti, valevoli per 651 milioni, comportando così un costo aggiuntivo per lo Stato di 1,78 miliardi di euro, a fronte di un extra-costo stimato molto, molto più alto.

Certo, le risorse indicate non sono modeste e non è facile trovare, in questo momento in cui diversi attori hanno bisogno di aiuto, lo spazio fiscale necessario anche per questo settore. Troppo spesso però ci perdiamo nella dicotomia pubblico/privato senza renderci conto che, in molti casi, si tratta solo di due elementi cardine di un unico sistema che mira a soddisfare bisogni e necessità spesso di primaria importanza.

Difficilmente il sistema dell’istruzione potrà assolvere ai propri compiti, di fondamentale importanza per lo sviluppo del Paese, senza che i soggetti privati siano messi in condizione di superare questa crisi e continuare nel loro faticoso, incessante ma necessario lavoro.

Le “schede tecniche” del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) indicano l’intenzione di rendere disponibili 152.000 nuovi posti negli asili nido. L’intervento presenta però tre criticità: l’obiettivo è modesto considerata l’attuale situazione italiana; i vincoli posti alla realizzazione del piano nel PNRR sono definiti in modo poco stringente; mancano i dettagli circa l’allocazione dei nuovi posti sul territorio nazionale.

Nella missione 4, componente 1, del PNRR è incluso un piano per gli asili nido, scuole dell’infanzia e servizi di educazione e cura per la prima infanzia. L’investimento, come specificato nel Piano, si propone di costruire, rinnovare e mettere in sicurezza asili nido e scuole allo scopo di sostenere la natalità, investire nell’educazione e nel benessere dei bambini, e incoraggiare la partecipazione femminile al mondo del lavoro.

Il PNRR, presentato il 30 aprile alla Commissione Europea, ha l’intenzione di creare 228.000 nuovi posti per asili nido e scuola dell’infanzia, con un costo di 4,6 miliardi, senza però fare distinzione tra le due scuole.

La distinzione è però fondamentale: mentre la disponibilità di posti in Italia è nella media europea per le scuole dell’infanzia, siamo molto indietro per gli asili nido: la copertura è al 25,5 per cento.

Nelle bozze di schede tecniche allegate al PNRR che sono state diffuse successivamente (ma non pubblicate da fonti ufficiali) è però specificato che i posti destinati agli asili nido sono 152.000. Tuttavia, anche con questa specificazione, permangono alcune criticità relative all’intervento che riguardano tre punti.

Assumendo che l’offerta di posti negli asili nido sia rimasta invariata rispetto al 2019 (355.289 posti in 13.335 asili nido) e che il numero di bambini tra 0 e 3 anni sia pari a quello stimato dalle previsioni demografiche Istat per il 2026, aggiungendo i 152.000 posti previsti dal piano, la copertura arriverebbe al 37 per cento, appena al di sopra dell’obiettivo del 33 per cento stabilito dal Consiglio Europeo di Barcellona nel 2002 (e che doveva essere raggiunto nel 2010).

Come termine di confronto, si pensi che il Piano Colao fissava un obiettivo di copertura del 60 per cento da raggiungere in 3 anni.

Una delle funzioni delle schede è di definire in modo preciso le condizioni che, se soddisfatte, consentiranno l’erogazione dei finanziamenti del NGEU.

Da qui l’importanza di cosa è scritto nelle schede e specificatamente nella parte che fissa certi “target” e certe “milestone” relativamente ai vari progetti. Relativamente agli asili nido e alle scuole dell’infanzia, le schede includono solo:

a) un milestone per il secondo trimestre del 2023, che prevede l’adozione di un unico piano per gli asili e per le scuole dell’infanzia con i dettagli circa il numero di opere aggiudicate per tipologia e distribuzione territoriale e tutti i contratti lavorativi relativi agli asili e ai servizi della prima infanzia;

b) Un target per il quarto trimestre del 2025 che prevede la disponibilità di 228.000 posti senza distinguere tra asili nido e scuola di infanzia

Quindi l’obiettivo è ritardato nel tempo, senza tappe intermedie, e senza un obiettivo specifico per gli asili nido. Come indicato, nel testo delle schede si parla di 152.000 posti destinati esclusivamente agli asili nido, ma quello che conta per l’erogazione delle risorse (e, quindi, il vero vincolo) è quello che viene riportato come target e quest’ultimo non contiene nulla di specifico sugli asili nido.

Ad oggi l’offerta di servizi per la prima infanzia in Italia è molto eterogenea. Come si è detto, la copertura a livello nazionale è del 25,5 per cento, ma in Calabria è solo del 10 per cento, mentre in Valle d’Aosta è del 47 per cento. Allo stato attuale il PNRR non presenta dettagli circa la divisione dei 152.000 posti sul territorio nazionale.

Tale informazione sembrerebbe dover essere inclusa nel piano menzionato al punto (2a) della precedente sezione e quindi si dovrebbe conoscere entro il 2023. Ma anche in questo caso, l’effettiva conformità della distribuzione territoriale dei posti creati rispetto a tale piano non sarebbe rilevante al fine del raggiungimento del target fissato per il 2025, che si riferisce, al momento, solo all’intero territorio nazionale.

*Con “asili nido” ci si riferisce ai servizi per l’educazione dei bambini sotto i 3 anni, mentre per “scuola dell’infanzia” si fa riferimento ai servizi per l’educazione dei bambini da 3 ai 6 anni

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