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Perché i percorsi professionali socio-sanitari servono ora più che mai

Il post di Alessandra Servidori sui percorsi professionali socio sanitari

Agli sbagli delle riforme scolastiche provvedono le Regioni a dare risposte formative e occupazionali. In questo periodo in cui emerge la necessità di poter assumere personale socio sanitario balza agli occhi i limiti della sovrapposizione delle riforme scolastiche che stiamo ancora subendo.

Con la riforma Gelmini (2010) e i provvedimenti successivi del 2017, gli istituti professionali socio-sanitari scolastici che prevedono questo percorso si sono trovati nella penosa e imbarazzante situazione di non poter fornire garanzie di alcun genere, riguardo agli sbocchi professionali, ai propri studenti, e ad operare spesso con la consapevolezza di vendere loro illusioni: non essendo infatti contemplata nei bandi di concorso pubblici o privati la figura del diplomato del corso Servizi socio-sanitari, l’unico sbocco per questi Istituti restava quello dell’iscrizione all’università.

Si è andata prefigurando quindi l’immagine di un professionale che non avvia verso una professione, ma di un professionale che al massimo apre, a chi se lo può permettere, l’accesso all’università.

Recuperare un pieno riconoscimento del titolo, che prevedesse cioè l’inserimento del titolo di diplomato del corso Servizi socio-sanitari nei bandi di concorso, era una necessità sentita da tutti i docenti che operavano sugli indirizzi socio-sanitari e sempre più frequentemente dibattuta nella realtà.

Partendo dall’Emilia Romagna si è così costituita la rete nazionale di istituti professionali con indirizzo Servizi per la sanità e l’assistenza sociale – Renaissans – e nel 2017, mettendo a frutto le alleanze già avviate nelle regioni Emilia-Romagna, Liguria, Puglia e Veneto con una sperimentazione triennale cominciata nel 2015 che prevedeva la possibilità, per gli istituti professionali a indirizzo socio-sanitario, di svolgere percorsi formativi finalizzati all’acquisizione della qualifica regionale di operatore socio sanitario (Oss), con l’intento di dare possibilità occupazionali agli alunni e alunne che avevano sostenuto il percorso sperimentale, dopo aver completato l’iter scolastico, indipendentemente dall’aver conseguito o meno il diploma di maturità.

L’Emilia Romagna è stata così la prima regione in Italia a consentire agli istituti professionali ad indirizzo Servizi socio-sanitari di arricchire la propria offerta formativa attivando il percorso di qualifica regionale di Oss; contemporaneamente la stessa regione ha riconosciuto le stesse scuole come “enti formatori” per il percorso sperimentale.

Sono state escluse da questa offerta formativa le articolazioni dei percorsi di odontotecnico e ottico. In questo modo la rete ha risposto ai due bandi Miur per le misure di accompagnamento del riordino degli istituti professionali stessi (D. Lgs. 61/2017).

La costruzione collegiale delle competenze e lo sforzo di dare ad esse una visione di insieme sono stati compiuti nell’ottica di veder concretizzata una figura di rilevanza sociale, che contribuisse ad affrontare le sfide del futuro prossimo, ormai già presente: invecchiamento della popolazione, complessificazione degli iter per accedere ai servizi, isolamento e solitudine di chi non è in grado di accedere alle tecnologie, crisi delle reti accudenti e di vicinato.

Prima di questa concreta alleanza, la motivazione di studenti e degli insegnanti era messa a dura prova non solo per l’assenza di occupazioni in linea con questo tipo di formazione, ma soprattutto per la consapevolezza di quanto grande sia in effetti il bisogno di tali operatori, a fronte di un’inerzia politica scoraggiante e colpevole.

Così di fronte a una situazione che minacciava di trasformarsi in un boomerang, gli istituti di istruzione professionale hanno cominciato autonomamente a ricercare opportunità per rendere spendibile il diploma conseguito con tale corso di studi.

È stato intravisto nell’operatore socio-sanitario con formazione regionale (Operatore Socio Sanitario-Oss), la figura che maggiormente si avvicinava a quella in uscita dall’istruzione.

Mosse dalla loro buone ragioni in ordine sparso e senza alcuna concertazione a livello centrale, le scuole si sono mosse, singolarmente o per mezzo di reti regionali, presso i rispettivi UU.SS.RR. e, in accordo con le Regioni, hanno cominciato a strutturare percorsi Oss, in modo da fornire una prospettiva lavorativa ai giovani diplomati.

Ora tocca ai Ministeri competenti Istruzione, Università, Salute, Lavoro rimediare e in velocità per istituire a livello nazionale il percorso e il titolo professionale per dare modo ai giovani di poter accedere alla richiesta del settore e oltretutto completare — come gli istituti professionali svolgono, in regime di sussidiarietà e nel rispetto delle competenze esclusive delle Regioni in materia — un ruolo integrativo e/o complementare, rispetto al sistema di istruzione e formazione professionale ai fini del  conseguimento, anche nell’esercizio dell’apprendistato, di qualifiche professionali.

L’emergenza Covid-19 ha messo in luce i limiti del sistema nazionale e ha fatto emergere il valore delle ottime azioni dei territori che virtuosamente sono l’ossigeno del sistema.

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