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Pacchetto clima – energia 2030. Dall’UE un accordo al ribasso?

E' stato raggiunto nella notte a Bruxelles, in occasione del Consiglio europeo, l'accordo tra gli Stati membri Ue sul pacchetto clima-energia per il 2030. Non è stato facile raggiungere l'accordo, che prevede di diminuire le emissioni di gas serra al 40% e di arrivare ad una soglia di produzione di energia rinnovabile al 27%

 

Stesso obiettivo anche per il potenziamento dell’efficienza energetica. Questo tipo di decisione non viene accolto bene dal mondo ambientalista e delle fonti rinnovabili, perché viene percepito come un accordo al ribasso. Inferiore rispetto alle prime stime della Commissione europea e del Parlamento europeo, che fissavano rispetto alla produzione di energia verde soglie ben più alte.

“L’accordo sugli obiettivi climatici al 2030 raggiunto nella notte a Bruxelles risulta francamente inferiore alle più pessimistiche previsioni. Tuttavia va gestito intelligentemente sul fronte interno e su quello internazionale”, dice Gianni Silvestrini, presidente di Free, il Coordinamento che raggruppa oltre 30 associazione delle fonti rinnovabili e dell’efficienza energetica.

“La riduzione del 40% delle emissioni climalteranti rispetto ai livelli del 1990 poteva essere più ambiziosa, ma rappresenta un importante punto fermo. Deludenti, ma direi soprattutto incoerenti, gli altri due obiettivi. L’obiettivo del 27% di rinnovabili sui consumi finali rappresenta sostanzialmente l’andamento tendenziale. La quota europea era del 14% nel 2012 e si può stimare tra il 15 e il 16% nel 2014. La mediazione al ribasso ha evitato inoltre la distribuzione degli obiettivi a livello nazionale, accontentando paesi, come la Gran Bretagna, che vogliono farsi del male rilanciando il nucleare con prezzi doppi rispetto a quelli del mercato.

Ancora più incomprensibile la timidezza sul fronte dell’efficienza. Quel 27% di riduzione dei consumi rispetto allo scenario tendenziale, per altro “indicativo” e non vincolante, si confronta con la proposta del 30% della Commissione e del 40% del Parlamento europeo. Una scelta al ribasso, considerato anche per l’enorme aiuto che la riduzione dei consumi potrebbe dare in termini di sicurezza energetica, tema centrale nell’attuale contesto di turbolenze.

Una riflessione finale va fatta sulle ricadute internazionali delle scelte europee. Su molti media esteri l’accento è stato posto sul 40% di riduzione delle emissioni, come scelta ambiziosa in vista della conferenza di Parigi del prossimo anno. Non dimentichiamoci che le scelte del dicembre 2015 saranno decisive per il clima e non solo. In particolare, sarà strategica la posizione della Cina, le cui emissioni equivalgono alla somma di quelle UE, USA e Giappone. In questi mesi il gigante asiatico sta valutando la possibilità di introdurre, per la prima volta, un tetto alle emissioni. E il 40% di riduzioni deciso in Europa aiuterà questo processo”.

 
Per Livio de Santoli, presidente di Aicarr, Associazione italiana condizionamento dell’aria riscaldamento e refrigerazione, “gli obiettivi previsti dal pacchetto Ue Clima-Energia 2030 con efficienza energetica al 27% e fonti rinnovabili al 27% in un quadro normativo confuso e contraddittorio come quello italiano, di fatto ostacolano e rallentano la transizione verso un nuovo modello energetico. Che ciò accada durante il semestre di presidenza italiano e’ significativo del perdurare di una politica fossile nel nostro Paese”. 
 
Neppure il mondo dell’eolico è soddisfatto. Secondo l’ANEV (Associazione Nazionale Energie dal Vento) la presidenza italiana al semestre europeo non è stata in grado di determinare un cambio di passo rispetto alla proposta di sostegno alle rinnovabili, poco incisiva, delle istituzioni europee, nonostante i benefici economici, occupazionali e ambientali che le rinnovabili e l’eolico in particolare hanno portato al Paese.

Nello specifico il settore eolico conta oggi 34.000 occupati in Italia, con un potenziale di crescita pari a oltre 67.000 posti di lavoro al 2020, distribuiti principalmente nelle regioni del Meridione dove il tasso di disoccupazione è più alto e c’è maggiore necessità di creare lavoro.

Senza contare il contributo al rilancio dell’economia e dell’industria italiana che il giusto supporto al settore potrebbe dare e all’indipendenza energetica del Paese, sempre sottoposto a crisi geopolitiche come quella Ucraina. 


In assenza di
 target obbligatori a livello nazionale tutto questo sarà compromesso e si metterà a rischio intero comparto industriale, già falcidiato dal fallimentare sistema delle aste e dei registri e da delibere penalizzanti come quelle sugli sbilanciamenti, su cui ANEV ha già espresso le proprie preoccupazioni.

 

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