L’Ocse rivede al ribasso la crescita economica in Italia. Il Pil crescerà del 1,2% non del 1,4 %, come previsto nel 2018. Mentre nel 2019 è prevista una crescita del 1,1%. La crescita mondiale invece, secondo le previsioni Ocse, è stimata al 3,7%. Si registra un rallentamento rispetto alle precedenti stime: dello 0,1% rispetto al 2018 e dello 0,2% rispetto al 2019. Le origini di questo rallentamento sono certamente politiche, come è dimostrato dall’aumento dei dazi doganali in Usa e in Cina. Le ripercussioni saranno inevitabili anche sull’economia europea.

Questi nostri sforzi rischiano oggi di essere vani a causa di scelte, o non scelte, di politica economica annunciate solo nei titoli ma che risultano ancora vaghe e misteriose. Tale opacità fatta di annunci e contro annunci per il settore bancario ha un nome: spread.


Le banche devono dunque trasferire l’aumento del costo della raccolta sui prestiti che vengono erogati, la cui domanda rischia di diminuire quando i tassi sono elevati e soprattutto quando le prospettive di crescita dell’economia nazionale e internazionale sono riviste al ribasso. Per questo la profittabilità delle banche che nei primi sei mesi del 2018 era aumentata rispetto allo stesso periodo del 2017 rischia nei prossimi mesi di essere rivista al ribasso.
Non dobbiamo dimenticare che maggiori tassi d’interesse e diminuzione del Pil rischiano di far aumentare nuovamente i crediti deteriorati con nuove rettifiche da accantonare nei conti economici e dunque anche minori utili. Dobbiamo inoltre comprendere che una crescita dello spread sui titoli di stato mette a rischio il patrimonio delle banche italiane perché il sistema bancario ha oltre 370 miliardi di titoli del Tesoro in portafoglio. Un aumento dei tassi si riflette, inoltre, anche nelle quotazioni azionarie perché erode il patrimonio delle banche.
Quest’ultime rischiano di sforare i parametri richiesti dalla Banca Centrale Europea e potrebbero dunque essere costrette a nuovi aumenti di capitale o ad altre soluzioni, come per esempio fusioni o liquidazioni per non mettere a rischio il sistema finanziario nazionale o europeo. Risulta necessario comprendere l’importanza dello spread, soprattutto per gli istituti di credito minori, che lavorano con clientela locale e non riescono a ripartire il rischio credito su diverse aree geografiche e possono essere percepiti come meno solidi delle grandi banche ed essere soggetti al bank run in periodi di crisi economica.

Osservando le cinque principali banche italiane dall’inizio dell’anno, registriamo una perdita di circa il 29% del loro valore, pari a circa 24 miliardi di euro. Tendenza riscontrabile anche nelle maggiori banche europee, che hanno ridotto il loro valore. Sembra che tutti scontino più che i Btp in portafoglio una eventuale nuova recessione economica a cui sembra oggi nessuno badi ma le cui nubi si stanno avvicinando. Trionfa spesso la veduta corta, non solo in Italia.
Le crisi sono di sistema e non del settore. Motivo per cui il settore bancario italiano non potrà fronteggiare una nuova crisi solo con il taglio del personale o degli sportelli per recuperare profitti. Siamo entrati in un nuovo paradigma, dove non sono cambiate le leggi dell’economia ma è aumentata la velocità di interconnessione fra le economie e le scelte di governanti o di manager.
Risulta evidente come tali azioni si propagano molto velocemente e anche oltre i confini nazionali. Il settore bancario ha sperimentato e sperimenta ogni giorno cosa significa aver un governo sovranazionale come la Bce. Motivo per il quale ha imparato anche a comprendere le sfumature e a sviluppar il dialogo con tali istituzioni comunitarie. Se la politica prendesse esempio dal settore bancario molti problemi si risolverebbero.





