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geopolitica 2025

Geopolitica, cosa è successo di rilevante nel 2025

La somma di tante debolezze, applicata alla crescente pluralità dello scenario globale, potrebbe alla fine spingerci verso nuove forme di cooperazione, piuttosto che di scontro. L'analisi di Riccardo Pennisi tratta dalla sua newsletter "Homemade geopolitics".

1. Il delirio mediatico e comunicativo che ci avvolge ci fa considerare ogni maledetto giorno come degno di un’imminente fine del mondo. Non per togliere gravità alle notizie che ci perseguitano, ma c’è credo un solo evento del 2025 che entrerà nei libri di storia: l’allineamento dell’India con Cina e Russia.

2. Narendra Modi ha prima rifiutato di aderire al dettame di Washington – “non comprerai più petrolio dalla Russia” – e lo ha fatto nonostante le ritorsioni della Casa Bianca. Poi ha “benedetto” la clamorosa esibizione di Xi Jinping, la parata di inizio settembre, recandosi a Shanghai per il summit della SCO tre giorni prima per un bilaterale – niente affatto scontato, tra Paesi descritti come rivali. E infine, tre settimane fa, ha ricevuto addirittura Putin in India, con tutti gli onori: il presidente russo è ancora quasi un paria a livello internazionale, nel 2025 s’è fatto vedere solo in Bielorussia e negli –stan dell’Asia Centrale (a parte la comparsata in Alaska regalata da Trump) – ma il Paese con più abitanti al mondo, quello destinato a crescere di più, una superpotenza tecnologica e scientifica oltre che agricola, gli ha spalancato le porte. Un gesto di portata enorme.

3. Se leggiamo i testi di geopolitica americana, infatti, un concetto è ribadito fino al tedio: evitare che le potenze dell’Eurasia si coagulino contro gli Stati Uniti, perché insieme hanno le forze per batterne la supremazia. Compito brillantemente eseguito dopo la Seconda guerra mondiale, con le rosse Russia e Cina imbrigliate da un lato dall’Europa Occidentale, e dall’altro dalla fila di alleati del Pacifico, da Giappone a Taiwan, dalla Corea del Sud alle Filippine. Quante guerre su questa linea di faglia: Corea, Vietnam, Afghanistan, Iran… In più, con abile mossa, Washington riuscì a separare Pechino da Mosca, agganciandola tra le riforme di Deng (1979) e l’ingresso nel WTO (2001) al suo ordine globale. L’URSS non aveva futuro e i cinesi lo capirono per primi, e la scaricarono. Anche l’India mollò il socialismo, e si accodò.

4. Ma oggi Mosca e Pechino si sono riunite – e non è “una poltrona per due”, perché chi comanda è Xi – e hanno l’India a benedire l’intesa. E mica solo lei: basta l’elenco dei membri vecchi e nuovi dei BRICS per constatare un consenso che ingloba i pezzi principali e più pregiati dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina – e in parata con Xi c’erano anche cinque rappresentanti europei. Questo significa che sull’Ucraina (curiosamente, un altro Paese sulla linea di faglia di cui sopra) c’è uno schieramento molto esteso a livello mondiale favorevole a che la guerra si concluda bene per Mosca, e ciaone all’Occidente – di nuovo, i cinesi l’hanno capito per primi.

Il che lascia all’Europa due scelte. Intensificare (per conto degli Stati Uniti) la pressione contro la Russia e il blocco eurasiatico, e cioè la guerra. Oppure trovare un compromesso con Mosca, e cioè la pace.

5. Nel 2025 l’intreccio tra religione e politica è tornato alla ribalta. Il convertito cattolico JD Vance ha aperto il mandato trumpiano litigando con papa Bergoglio, nientepopodimenoché sull’ordo amoris, l’ordine in cui dobbiamo “amare”, difendere, privilegiare: prima noi, e gli altri solo dopo. Ci spiace: gli indesiderabili via, in gabbia (se va bene). Io so’ io, diceva il Marchese del Grillo… La risposta vaticana, immediata, sottolinea il principio di universalità: niente classifiche, e nel caso, prima gli ultimi.

6. Non è una disputa teologica, di cui ci importerebbe il giusto: in gioco c’è la legittimazione delle dottrine politiche, economiche e sociali del trumpismo e dell’internazionale che lo segue, e che propugnano la distruzione delle istituzioni e politiche che riequilibrino o sottopongano a responsabilità la pura forza bruta del potere, della ricchezza e del privilegio – individuale o di una minoranza: il famoso noi.

Trump e Musk contestano l’Europa proprio su questo punto e in effetti l’integrazione europea sarebbe nata – non a caso in origine come progetto soprattutto democristiano, da Adenauer a De Gasperi, poi adottato dalla sinistra universalista – in opposizione alla loro visione del mondo. Ma la UE di oggi è qualcosa di ben diverso, molto lontano dal rappresentare un’alternativa al modello delle motoseghe di Washington. Che invece nei fatti segue, probabilmente per un’adesione profonda e inconscia che ancora non è in grado di ammettere.

7. La caldera magmatica di questo scontro è il continente americano. Bergoglio, argentino. Il nuovo papa Prevost, cittadino USA e peruviano. La conversione di Vance. La dottrina religiosa usata a piene mani come cemento di unità sociale e politica, al Nord e al Sud. Il 2025 ha visto il dispiegamento delle armi economiche degli Stati Uniti appunto in Argentina, dove è stato detto agli elettori di votare in un certo modo altrimenti i soldi promessi non sarebbero arrivati, e di quelle militari davanti al Venezuela per provocare un colpo di stato – anche se questo tarda ad arrivare, Washington perde davvero colpi.

8. Ma mentre in Sudamerica il match è aperto, in Africa la remuntada sulla goleada russo-cinese degli ultimi anni appare disperata, un po’ come le bombe sulla Nigeria. Sarà pure vero (no) che di nuovo ci interessa l’ISIS, ma la salita al potere in Siria di un ex colonnello di Al-Qaeda non sembra aver fatto alzare sopracciglia. Allora, per comprendere l’interesse della Casa Bianca per la Nigeria, bisogna scavare fino al nero: il petrolio. Se la Cina ormai è leader incontrastata in rinnovabili ed elettrico, per gli USA i fossili restano una colonna insostituibile dell’economia e delle relazioni internazionali: basti pensare al Nord Stream. Iran, Venezuela, Nigeria sono tutti ricchi di idrocarburi: non è un caso.

9. A giudicare le mosse dell’Occidente, queste sembrano ondeggiare tra l’assolutamente incosciente e il narcisista patologico. Il placet USA alla carneficina mediorientale è stato infine frenato solo perché Gaza stava danneggiando il poco che rimaneva del “Washington consensus”, persino la tenuta delle alleanze europee (i dieci giorni di enormi mobilitazioni in Italia hanno spaventato più di qualcuno), di quelle arabe, e addirittura la coesione dell’elettorato Repubblicano, ora diviso su Israele. La vicenda della Siria è un’ottima sineddoche della regione: pacificata di nome ma non di fatto, preda di interessi regionali e internazionali, campo di battaglia tra poteri vicini e lontani, priva di effettiva sovranità e diritti… Per il resto, il Medio Oriente resta un ricco buffet all’ora dell’aperitivo.

10. E nemmeno il progetto di riarmo europeo sembra nascere da menti lucide – senza controllo democratico, appaltato ai singoli stati, usato per salvare carriere politiche o produzioni industriali fallite, basato su questa idea che dobbiamo morire per “fermare la Russia” – reiterata dagli Stati maggiori degli eserciti inglesefrancese e tedesco.

Ma ecco un po’ di zucchero a velo, su questo indigesto pandoro. L’Occidente appare sì assurdo, persino suicida. Ma anche Russia e Cina soffrono di fragilità importanti – come la demografia: la prima si trova a gestire immensi territori svuotati – il che rende abbastanza incredibile qualsiasi ambizione di “conquista” in Europa. La seconda perde milioni di abitanti ogni anno, perché il suo tasso di fertilità è sceso ai livelli più bassi del mondo.

Insomma: la somma di tante debolezze, applicata alla crescente pluralità dello scenario globale, potrebbe alla fine spingerci verso nuove forme di cooperazione, piuttosto che di scontro.

 

(Tratto dalla newsletter Homemade geopolitics)

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