Il divario tra retorica e realtà degli aiuti a Kiev emerge dall’ultimo aggiornamento dell’Ukraine Support Tracker dell’Istituto per l’economia mondiale di Kiel (IfW), che fotografa un’Europa in affanno nel sostegno all’Ucraina. Dopo un primo semestre in crescita, il volume degli aiuti militari e finanziari destinati a Kiev è diminuito in modo sensibile nella seconda metà del 2025, segnando il punto più basso dall’inizio della guerra. Il rallentamento evidenzia una difficoltà crescente delle cancellerie europee a mantenere lo stesso ritmo di impegni, con conseguenze concrete sul fronte ucraino e sulla capacità dell’Europa di sostenere un alleato sotto pressione.
NEL 2025 AIUTI EUROPEI IN CALO
La scorsa settimana a Bruxelles si è cercato di far quadrare il cerchio tra utilizzo degli asset russi congelati e forme di debito comune, accordandosi poi sulla seconda opzione. Intanto però, i dati raccolti dall’Ukraine Support Tracker mostrano che, nei mesi di settembre e ottobre 2025, i nuovi stanziamenti europei per Kiev si sono fermati a circa 4,2 miliardi di euro, un valore insufficiente a colmare il vuoto lasciato dall’assenza degli aiuti statunitensi.
Dopo un primo semestre record, il ritmo delle donazioni e dei supporti logistici si è quasi dimezzato, con un calo del 43% già in estate e un’ulteriore contrazione di un terzo negli ultimi due mesi. Nel periodo 2022-2024, la media complessiva degli aiuti annuali provenienti da Stati Uniti, Europa e altri partner si attestava intorno ai 41,6 miliardi di euro. Nel 2025, invece, il totale è fermo a 32,5 miliardi. Poco è cambiato da allora, e i ricercatori dell’Istituto di Kiel ritengono che il 2025 si chiuderà come l’anno con i minori nuovi stanziamenti dall’invasione russa del 2022.
L’EUROPA DIVISA TRA VOLENTEROSI E RITARDATARI
Dietro i numeri, si nascondono forti differenze tra i principali paesi donatori. Germania, Francia e Regno Unito hanno incrementato in modo consistente i loro stanziamenti rispetto al periodo 2022-2024: Berlino ha quasi triplicato la media mensile, mentre Parigi e Londra li hanno più che raddoppiati. Tuttavia, in proporzione al prodotto interno lordo, queste economie rimangono ancora dietro rispetto ai paesi nordici, considerati i più generosi in rapporto alle proprie risorse. Danimarca, Finlandia, Norvegia e Svezia confermano il loro ruolo di primi sostenitori europei, mentre Italia e Spagna mostrano un approccio più prudente e contribuiscono solo in misura marginale.
L’Italia, in particolare, secondo i dati dei ricercatori di Kiel ha ridotto del 15% i già contenuti aiuti rispetto al triennio precedente, mentre Madrid non ha comunicato nuovi interventi militari per tutto il 2025. Secondo gli analisti del progetto, questo squilibrio ha accentuato le differenze interne all’Unione, rendendo più complessa la coesione del sostegno a Kiev e alimentando le tensioni tra i paesi membri.
LE TENSIONI SI ALLARGANO
La dinamica degli aiuti non riguarda solo la dimensione economica, ma riflette anche la crescente difficoltà politica dell’Unione Europea nel coordinare le proprie strategie. Il disimpegno americano ha accentuato la dipendenza dell’Ue dai tre principali contributori e ha messo in luce la mancanza di strumenti comuni di finanziamento.
Nello stesso periodo, si è accentuato il confronto interno sulle modalità d’uso degli asset russi congelati, pari a circa 210 miliardi di euro, che Bruxelles (e in particolare il cancelliere tedesco Friedrich Merz) vorrebbe destinare in parte al sostegno di Kiev. Ma, come si è visto nei giorni scorsi, la questione divide i governi, costringendo a soluzioni di compromesso. L’assenza di una posizione unitaria forte alimenta la percezione di una crescente frammentazione all’interno dell’Unione, dove le differenze politiche – tra governi del Nord, più interventisti, e quelli del Sud, più cauti, e tra volenterosi e adepti di Visegrad – continuano ad allargarsi.
COSA È L’UKRAINE SUPPORT TRACKER
L’Ukraine Support Tracker, sviluppato dall’Istituto di Kiel, rappresenta oggi uno dei riferimenti più completi per la misurazione degli aiuti internazionali all’Ucraina. Il database copre 41 Paesi, comprendendo tutti gli Stati membri dell’Unione Europea, le altre economie del G7 e diversi partner globali come Australia, Corea del Sud, Norvegia, Nuova Zelanda, Turchia, India e Cina. Sono considerati esclusivamente gli impegni pubblici assunti dai governi nei confronti di Kiev, nonché quelli provenienti dalla Commissione europea e dalla Banca europea per gli investimenti. Restano invece escluse le donazioni di soggetti privati o di organismi multilaterali, come il Fondo monetario internazionale.
Gli aggiornamenti periodici permettono di comparare in modo trasparente i diversi flussi e di identificare sia le tendenze generali sia i contributi specifici dei singoli paesi.
ALLA RICERCA DI UN COORDINAMENTO PIÙ FORTE
A quasi quattro anni dall’inizio del conflitto l’Europa fatica dunque a mantenere il passo degli impegni presi nei momenti iniziali. La stanchezza politica e il rallentamento economico si riflettono sulla capacità di mantenere costante il livello di supporto a Kiev. La soluzione del debito comune dell’Ue a 24 da 90 miliardi di euro è un compromesso che è servito soprattutto a salvare la faccia. Ma senza un coordinamento più forte e una pianificazione comune, sostengono gli esperti del think tank di Kiel, il prossimo anno potrebbe segnare un ulteriore calo della solidarietà finanziaria, con ricadute sulla tenuta complessiva del fronte bellico e anche di quello europeo.







