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La corruzione in Ucraina vista dai centri studi tedeschi

L’Ucraina sta attraversando una fase storica in cui deve conciliare esigenze opposte – sicurezza immediata e affidabilità democratica – e da questo difficile equilibrio dipenderà il futuro del paese. Ecco cosa pensano i principali centri di ricerca tedeschi.

Inutile voltare la testa. La corruzione continua a scorrere come un fiume carsico sotto la superficie della vita pubblica ucraina: nasce da antiche abitudini dell’epoca sovietica, quando ogni snodo amministrativo era orientato al favore politico, e si è poi insinuata anche negli anni dell’indipendenza, fino a diventare uno dei temi centrali della sorprendente ascesa di Volodymyr Zelensky nel 2019. In quel momento, il rifiuto popolare verso una classe dirigente percepita come opaca spinse un attore televisivo a trasformarsi nel simbolo della promessa di un paese capace di rinnovarsi. La guerra ha relegato questa dimensione in secondo piano, ma non l’ha cancellata: anzi, la prospettiva dell’adesione all’Unione Europea e la mole di sostegni finanziari internazionali rendono ora essenziale affrontare apertamente il problema.

A ricordarlo è un’articolata analisi delle “Länder-Analysen” dedicate all’Ucraina, trenta pagine dense curate da un consorzio di istituti tedeschi – dall’Università di Brema al Leibniz Institut fino alla Società tedesca per gli studi sull’Europa orientale – che affondano lo sguardo nei più recenti scandali, nelle dinamiche interne e negli equilibri istituzionali della lotta anticorruzione.

ATTACCHI ALLE ISTITUZIONI ANTI CORRUZIONE

Secondo l’analista politico Mattia Nelles del think tank Deutsch-Ukrainisches Büro, “l’estate del 2025 ha segnato un momento critico per l’infrastruttura anticorruzione ucraina”. In quei mesi, il governo ha tentato di rimuovere la guida delle due principali istituzioni del settore: il NABU, l’Ufficio nazionale anticorruzione, e la SAPO, la Procura speciale anticorruzione. L’iniziativa ha innescato una reazione immediata: proteste diffuse nel paese e pressioni decise da parte dei partner occidentali hanno costretto il presidente a ritirare il piano.

Il dietrofront, però, non ha eliminato il problema. Come sottolinea Nelles, “entrambe le istituzioni continuano a essere esposte a forme di pressione diretta e indiretta”. I servizi segreti interni (SBU) e la Procura generale “mantengono un ruolo invasivo, mentre nuovi tentativi legislativi – meno appariscenti ma più sofisticati – puntano a ridurre l’autonomia operativa di NABU e SAPO”. Parallelamente, una vasta campagna diffamatoria cerca di minare la credibilità delle due autorità, accusandole di essere “filo-russe” o addirittura corrotte.

Per Nelles, la regia politica di questi attacchi è “riconducibile direttamente al presidente e al suo entourage”. Un quadro che rischia di compromettere l’avanzamento dell’Ucraina verso i criteri richiesti per l’adesione all’Ue, oltre a indebolire la fiducia internazionale. Lo studioso raccomanda quindi “l’introduzione di solide misure di protezione”, l’ampliamento delle competenze delle due autorità – in particolare della SAPO nelle indagini sui parlamentari – e l’attribuzione di “piena autonomia tecnica nel campo delle intercettazioni”. La priorità, però, resta la riforma strutturale di SBU e Procura generale, considerate tra i “fulcri delle influenze politiche”. Infine, Nelles invita i partner occidentali a mantenere uno stretto monitoraggio e a chiarire che ulteriori interferenze avrebbero ripercussioni dirette sul processo di integrazione europea.

LO SCANDALO ENERGETICO E LA QUESTIONE DEL POTERE

Il dossier è stato realizzato prima che l’onda di corruzione si abbattesse sul braccio destro di Zelensky, Andrij Yermak. Il lavoro degli analisti si concentra dunque principalmente sul grande caso di corruzione che ha investito Energoatom, la società nazionale dell’energia nucleare. Ruslan Rjaboschapka, del Centro per la resilienza nazionale e lo sviluppo di Kiev ed ex procuratore generale sotto Zelensky, descrive proprio questo fronte di crisi. Le indagini del NABU hanno rivelato presunte tangenti pari al 10-15% di contratti dal valore complessivo di miliardi, con riciclaggio stimato oltre i 100 milioni di dollari. Il coinvolgimento di Timur Minditsch, imprenditore vicino al presidente, ha amplificato il clamore e suscitato inquietudine nei partner occidentali.

Rjaboschapka ricorda che i primi mesi della presidenza Zelensky avevano mostrato risultati promettenti: il rafforzamento del NABU e della SAPO, la nascita della Corte Suprema Anticorruzione (HACC) e un’ampia revisione interna alla Procura generale avevano creato un sistema efficace. Ma tutto cambiò nel marzo 2020, quando il governo riformista fu sciolto e il team incaricato delle riforme fu sostituito. Da quel momento, secondo l’autore, il sistema avrebbe iniziato “una lenta erosione”.

Alla radice di questo declino, Rjaboschapka individua “la concentrazione del potere nelle mani del presidente e di una cerchia molto ristretta” che, di fatto, si è sovrapposta al parlamento e al governo. Una centralizzazione che crea “opportunità di abuso e fenomeni di arricchimento personale”. Gli scandali successivi – dal ministero della Difesa a Ukroboronprom – e gli attacchi del luglio 2025 alle istituzioni anticorruzione confermerebbero, secondo lui, “l’assenza di una reale volontà politica di affrontare la corruzione”. Senza il caso Yermak, insomma, nulla si sarebbe mosso a Kiev.

Le uniche strutture che ancora preservano integrità, osserva l’autore, sono NABU, SAPO e HACC. Per evitare un ulteriore deterioramento, Rjaboschapka propone passi radicali: la fine della monopolizzazione del potere tramite la formazione di un governo tecnocratico, una magistratura pienamente indipendente, una nuova guida autonoma della Procura generale e una riforma complessiva della giustizia penale. Sono richieste che tuttavia odorano di giustizialismo: paiono una pretesa di commissariamento, operazione di per sé delegittimante nei confronti di un corretto funzionamento della democrazia e particolarmente rischiosa a guerra tuttora in corso e con trattative per la pace ancora incerte.

L’autore accusa comunque i partner occidentali di aver tollerato in silenzio la degenerazione istituzionale, invitandoli a esercitare una pressione pubblica affinché lo scandalo Energoatom diventi un punto di svolta. “Senza un cambiamento strutturale”, conclude, “la sopravvivenza dello Stato ucraino sarebbe in dubbio”.

CENTRALIZZAZIONE, EMERGENZA E RIFORME

Per Nicole Sherstyuk della Freie Universität di Berlino, la situazione ucraina è definita da un paradosso: in piena guerra, “il paese vive sotto la centralizzazione imposta dalla legge marziale, mentre contemporaneamente porta avanti riforme necessarie per avvicinarsi all’Unione Europea”. Questa doppia pressione crea un “equilibrio fragile”.

Sherstyuk sottolinea come la debolezza amministrativa, dovuta a carenze di personale e strutture, sia il contesto in cui la lotta alla corruzione è diventata “una questione di sicurezza nazionale”. Gli abusi non compromettono solo l’efficienza dello Stato, ma possono influenzare direttamente le operazioni militari. L’autrice definisce questo processo una forma di “autopulizia”: riforme introdotte non per ideologia, ma per necessità operativa. Tra gli esempi cita la ristrutturazione dell’agenzia governativa anti-corruzione ARMA, la creazione dell’ispettorato disciplinare autonomo per i giudici (SDI) e l’uso di piattaforme digitali come Prozorro e DREAM.

Tuttavia, “il percorso non è lineare”: persistono “conflitti tra reti di potere consolidate e nuovi attori riformisti”. L’attacco estivo a NABU e SAPO conferma, secondo Sherstyuk, “la volontà di alcune élite di riappropriarsi dei vecchi margini di controllo”. Anche la rimozione del sindaco di Odessa e l’introduzione di un’amministrazione militare vengono letti come un tentativo di disarticolare strutture clientelari radicate.

La conclusione dell’autrice è che l’Ucraina sta attraversando una fase storica in cui deve “conciliare esigenze opposte” – sicurezza immediata e affidabilità democratica – e da questo difficile equilibrio dipenderà la tenuta del paese nel dopoguerra.

LA SOCIETÀ CIVILE COME ARGINE

C’è il baluardo della società civile, già protagonista di una straordinaria capacità di resistenza in quasi quattro anni di guerra. Su di essa si focalizza il saggio di Emma Mateo dell’Harvard Ukrainian Research Institute. Le proteste dell’estate 2025 dimostrano che, nonostante la guerra, la società civile ucraina conserva forza, organizzazione e capacità di mobilitazione. Le manifestazioni sono esplose in risposta alla proposta di legge che minacciava l’indipendenza di NABU e SAPO e hanno portato rapidamente il governo a una revisione del testo.

Mateo ha tracciato la geografia delle proteste, documentando la loro diffusione nazionale: “il picco si è registrato il 23 luglio in almeno 27 località, comprese aree vicine al fronte”. Da Kharkiv a Leopoli, migliaia di persone hanno manifestato “mantenendo un profilo apartitico, senza simboli politici, focalizzandosi esclusivamente sul rifiuto della corruzione”.

Un ruolo centrale è stato svolto dai giovani: studenti universitari e delle scuole superiori hanno guidato l’organizzazione attraverso reti studentesche e chat private su Telegram e Instagram. Per Mateo, questa nuova generazione di attivisti rappresenta “una risorsa fondamentale, capace di difendere il percorso democratico del paese” anche mentre l’Ucraina affronta la più grave minaccia esistenziale della sua storia recente.

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