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conservatori meloni

Cara Meloni, le scrivo…

Il semplice conservatorismo rischia di ridursi a nostalgia privata e sentimentale, mentre il tradizionalismo, un equilibrio tra conservazione e innovazione, è capace di adattarsi ai cambiamenti sociali, culturali ed economici - qualità necessaria per ambire alla storia. Il corsivo di Battista Falconi

 

Giorgia Meloni ha ricevuto il premio Margaret Thatcher dai suoi seguaci conservatori, che l’hanno incoronata erede della Lady di Ferro. La premier ringrazia: “Sono un soldato al servizio di un’idea, essere conservatori oggi è rivoluzionario, le identità forti non temono le altre, il conservatorismo è l’antidoto alla distruzione delle identità”. Idee alla Roger Scruton, che infatti Meloni ha citato e al quale avrebbe potuto abbinare le gozzaniane “buone cose di pessimo gusto”.

Il ragionamento fila. Quasi tutti, con l’avanzare degli anni, percepiamo il disagio causato da un tempo in cui attraversiamo, senza esagerare, una rivoluzione delle nostre vite professionali e personali, cominciata con il digitale e le reti e amplificata dall’intelligenza artificiale. Più in generale dobbiamo affrontare – sul piano fisico, sociale e psicologico – l’entropia, la finestra di Overton e la pulsione di morte. Cioè, rispettivamente: la legge della termodinamica per cui serve più lavoro a costruire che a lasciar andare a male le cose; la dinamica per cui cose inammissibili in passato, con un lavoro di comunicazione efficace, diventano addirittura norme; la stanchezza e l’inerzia che nella nostra psiche ostacolano la lotta per vivere.

Di fronte a tanta accelerazione, questo conservatorismo si riduce facilmente a nostalgia, rimpianto, raccoglie il favore dei laudatores temporis acti e resta soprattutto privato e sentimentale. Per una donna e leader ambiziosa come Meloni occorre anche altro. Le serve il tradizionalismo, una cosa decisamente diversa che consiste nel rinnovare le cose in un adattamento continuo. Una sorta di evoluzione darwiniana, per continuare a semplificare poggiandoci sulle spalle delle grandi teorie. 

Uno bravo a mediare conservazione e innovazione è Pier Silvio Berlusconi quando dice che “serve un ricambio, bisogna rinnovare” e che “Meloni è la migliore premier in Europa”. Tajani è un buon incassatore ma possiamo immaginare il nervosismo suo e di Forza Italia, come emerso ad Atreju dove la ministra Bernini ha replicato ai booh degli “amici contestatori” citando il presidente: “siete sempre, solo, dei poveri comunisti”. Ma certe battute fanno effetto solo se le interpreta un grande attore, niente di più triste che raccontare male le barzellette…

Il conservatorismo, per restare nei pressi del Cavaliere, va bene a Mediaset per fare successo con la Ruota di Gerry Scotti e riciclare la tv vintage di Bonolis, Milionario, Striscia e “Il prezzo è giusto”. Rai con altrettanto successo piazza il nuovo Sandokan a mezzo secolo preciso dal precedente. Però l’audience è mutevole. Sanremo punta tutto su giovani sconosciuti ai più e altri grandi vecchi vanno meno bene su La7, la Telecairo ormai unico medium di opposizione, ancor più dopo la deriva greca del gruppo Gedi (che, colmo dell’ironia, va a farsi difendere dal sottosegretario Barachini). 

Il mainstream non esiste più, è sostituito da bolle, camere dell’eco e pacchetti informativi, anche i boomer usano lo streaming e scrollano i reel. Ed è solo una delle molte cose che cambiano comunque e che impongono di essere tradizionalisti anziché conservatori, se si ambisce alla storia come Giorgia.

Negli ultimi lustri abbiamo visto vacillare tante certezze sulle quali avevamo fondato il modo di vivere e di pensare dei decenni precedenti. Il conservatorismo va benissimo per lamentare la scristianizzazione del Natale: sacrosanto, solo che poi bisognerebbe essere cattolici praticanti. Il crollo più evidente in questi giorni è quello della pace, rimpiazzata da un neo-militarismo che in nome della difesa della libertà e dei sacri confini della patria sconfessa l’auspicio di deporre le armi, svuotare gli arsenali e riempire i granai, per usare l’ingenua metafora di Sandro Pertini. 

La pandemia ha picconato il valore della libertà in nome della sicurezza sanitaria, fino al punto di imporre alla popolazione la reclusione e l’inamovibilità, le stesse pene che comminiamo ai criminali. Non entriamo nel dibattito sulla giustificazione delle misure adottate ma facciamo notare che sono la premessa per cui adesso viene facile, ai panpenalisti, chiedere ulteriori limitazioni al nostro comportamento o inasprire le pene in nome del classico baratto “libertà vs sicurezza”.

E ancora. La crisi economico-finanziaria del 2007-2008 con gli scatoloni portati via dai licenziati della fallita Lehman Brothers ha messo in crisi l’idea di capitalismo globale illimitato, che resiste ma con contraddizioni evidenti: si pensi a Trump, alla sua mezza lite con Musk, l’uomo più ricco del pianeta, alla facilità con cui ha minacciato mezzo mondo in nome dei dazi protezionistici. Sul fronte ideologico opposto, l’ecologismo un po’ rabberciato con cui gli ex progressisti avevano sostituito la lotta di classe e la società degli eguali è stato demolito dalle preoccupazioni degli imprenditori e industriali euro-occidentali insidiati dalla concorrenza sleale degli inquinatori “terzomondiali”. Il che ha prodotto un calo di sensibilità verso la tesi dell’AGW: impatto antropico, aumento di emissioni, riscaldamento, eventi estremi, scomparsa del mondo come lo conosciamo. 

Anche l’altro pilastro dei post-progressisti, il multiculturalismo immigrazionista, sta conoscendo in questi tempi durissime critiche da parte dell’UE. Per non parlare dell’Unione in sé, ormai al centro di incubi ben più che di sogni.

Infine, il lavoro, la ricchezza, la proprietà… Tutti beni che le nuove generazioni, avendoli ereditati in quantità sufficiente dalle precedenti, spesso snobbano, preferendone comprensibilmente altri come la gestione del proprio tempo libero, andare in giro per il mondo, la qualità della vita. Anche perché, a proposito di cose che scompaiono, abbiamo rinnegato un altro obiettivo dei secoli precedenti come la riduzione degli orari lavorativi, fuorviando in senso opposto il supporto di new media e hi tech che invece i più giovani usano in modo opportuno e sensato.

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