Chi sta vincendo la guerra commerciale? La moltiplicazione degli screzi fatti all’Europa dagli Stati Uniti dovrebbe rivelarcelo in maniera abbastanza netta. Prima la Strategia di Sicurezza Nazionale di Trump, che tratta l’Unione Europea come il coacervo niente meno che del declino della civiltà occidentale. Poi gli insulti di Musk, ha preso la multa dalla UE poverino, e quindi chi gliel’ha data diventa un nazista (ma non era un complimento, da parte sua? deciditi Elon) – ed espelle la Commissione da X.
(Scema la Commissione a farsi cacciare e a non essersene andata mesi fa, come hanno fatto in tanti? Sì.)
Perché in America le cose vanno male, malissimo – e che fa il capo, il capo classico, assoluto, il padrone, quando le cose vanno male? Se la prende coi suoi sottoposti. (Non va sottovalutato che Trump, Musk e co. parlano per prima cosa agli americani, non a noi). Noi sottoposti dobbiamo abbozzare. Magari ci sfoghiamo, una volta a casa, qualcuno mette persino le bandierine, ma poi ci teniamo la politica energetica, quella militare e quella commerciale imposte a sberle da Washington.
A novembre, la Cina ha fatto registrare il record storico annuale di attivo commerciale: il valore per il 2025 ha superato i 1000 miliardi di dollari. Circa il doppio di 5 anni fa (560 miliardi). Circa il triplo di 10 anni fa (380 miliardi). +22% sullo scorso anno. Novembre 2025 è stato il terzo miglior mese della storia per le esportazioni cinesi.
E questo accade appunto nonostante i dazi, nonostante il conflitto commerciale con gli USA. Sì, le esportazioni cinesi verso gli Stati Uniti sono diminuite del 20% sull’anno passato (c’è un dazio medio del 47,5% a renderle meno competitive). Ma Pechino ha riorientato le sue vendite: ad esempio all’Unione Europea, dove crescono del 15%. (Sarà anche questo, a fare infuriare la Casa Bianca?). Si tratta soprattutto di auto elettriche – con l’industria europea ridotta, in effetti, a sperare di costruire armi per non chiudere bottega. E poi acciaio e pannelli solari. Settori chiave in cui la Cina è all’avanguardia, primato raggiunto mentre gli Stati europei smantellavano o delocalizzavano il proprio tessuto produttivo per errori di politica economica e monetaria.
L’Italia, indebolita dai suddetti errori e dal declino generalizzato del potere d’acquisto, ha fatto segnare il record europeo di penetrazione delle merci cinesi nel mercato interno: +25% in un solo anno. Sicuramente i tanti politici e giornalisti di opposizione che hanno sgomitato per uno strapuntino ad Atreju ne avranno parlato, di questo ennesimo colpo al sistema produttivo nazionale. Avranno incalzato, non avranno dato respiro.
A livello mondiale, crescono le esportazioni cinesi di terre rare (+27%), macchinari elettronici e semiconduttori. Aumenti che riguardano soprattutto l’Australia (+36%), l’Africa (+28%), ma anche America Latina e Sudest asiatico (circa +10%).
L’export pesa ormai per un terzo, nella composizione del pil cinese (uno squilibrio davvero accentuato), e se il tentativo degli Stati Uniti era di colpire la ricchezza del Paese attraverso le esportazioni, è fallito. Il pil cinese aumenterà per il 2025 di circa il 5% – pur in presenza di un decremento demografico!
Nel frattempo, la Casa Bianca, quella che doveva chiudere i rubinetti della spesa pubblica, ha appena annunciato 12 miliardi di sussidi per il settore agricolo statunitense. Già in crisi da anni (ormai la Russia produce il doppio del grano rispetto agli USA, mentre le proporzioni erano invertite trent’anni fa), è ulteriormente appesantito dalla crisi delle esportazioni e dall’aumento del prezzo dei macchinari provenienti dall’estero – grazie ai dazi. Nel mese di ottobre, le procedure fallimentari sono state il 60% in più rispetto all’anno precedente. Molti di loro hanno votato Trump.
Meglio parlare di Europa, no?




