È solo questione di giorni. Domani, lunedì 8 dicembre, la commissione intergovernativa dell’UNESCO si riunisce a New Delhi e in settimana deciderà se la cucina italiana è un patrimonio dell’umanità. Senza farsi condizionare da un inutile orgoglio nazionalistico si può prevedere che il parere sarà favorevole. E le ragioni per cui questo prestigioso riconoscimento culturale alla nostra gastronomia può essere considerato quasi un atto dovuto le spiegano bene Massimo Montanari e Pier Luigi Petrillo con “Tutti a tavola. Perché la cucina italiana è un patrimonio dell’umanità” (Laterza, 116 pagine, 15 euro).
Nel loro libro traspare una certa dose di passione ed è comprensibile: i due autori, uno storico e un giurista, hanno fortemente contribuito con le loro competenze a preparare il dossier di candidatura che verrà esaminato dalla commissione UNESCO. Ma con assoluta certezza si può affermare che “Tutti a tavola” non è per niente un libro di parte. Al contrario, giocando d’anticipo, dà conto di tutte le obiezioni che potrebbero essere fatte sul valore culturale della cucina italiana riuscendo però a dimostrare che si tratta di luoghi comuni o di convinzioni superate dalla realtà.
Ci si potrebbe sbizzarrire elencando una serie di banalità. La tecnica di lavorazione della pasta è stata inventata altrove. Stessa cosa per la pizza. Non avremmo ingredienti fondamentali come il pomodoro senza la scoperta dell’America. Quanto al caffè, legittimamente considerato una bevanda nazionale, non abbiamo né possiamo per ragioni climatiche avere piantagioni. Ma è proprio questo un esempio del “valore aggiunto” che l’Italia ha saputo dare: il caffè nasce in Etiopia, fa un giro interminabile ma diventa un fenomeno mondiale soltanto quando arriva a Venezia e dà perfino il nome al primo giornale italiano.
Il senso di questa storia è che ha un’importanza relativa da dove provengono i pomodori o le patate. Ciò che, invece, risulta determinante è la capacità di aggregare e rielaborare ingredienti appresi da altre culture creando così qualcosa di nuovo. La caratteristica fondamentale che dà prestigio alla gastronomia italiana è quella di essersi sviluppata sotto il segno della pluralità con grande attenzione anche a tutte le possibili innovazioni.
E anche se la buona educazione dice che non si dovrebbe parlare con la bocca piena la passione per il cibo genera innumerevoli dibattiti. Si può discutere se il ripieno dei tortellini debba essere di carne di maiale e di pollo per poi scoprire che vanno bene entrambe. Da Pellegrino Artusi in poi la preparazione del brodo vanta numerose varianti e ognuno può scegliere quella che preferisce.
“Tutti a tavola” racconta una lunga storia che dimostra la grandezza della cucina italiana. Nei secoli ha fatto attenzione alle cucine degli altri paesi senza “copiare” ma prendendo quanto c’era d’interessante. E nello stesso tempo ha lasciato sviluppare una serie di realtà locali che, dal Piemonte alla Sicilia, sono tutte di primissimo piano. Ed è indiscutibile che tutto ciò costituisce un autentico patrimonio culturale. Con il riconoscimento dell’UNESCO il pranzo di Natale e il cenone di Capodanno andrebbero vissuti quanto meno con maggiore deferenza.




