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Mogherini Sannino

Caso Mogherini: come una normale attività antifrode si trasforma in un boomerang comunicativo per l’Europa

Il clamore mediatico che ha travolto un’indagine preliminare condotta da EPPO e OLAF sull’assegnazione dell’Accademia Diplomatica dell’Unione Europea al Collegio d’Europa non è il prodotto di un’inchiesta giudiziaria eccezionale, bensì dell’ennesimo cortocircuito comunicativo in un ecosistema informativo ipersensibile e vulnerabile alla guerra ibrida. L’opinione del generale della Guardia di Finanza in congedo Alessandro Butticé, primo portavoce dell’OLAF

Tre anni fa, l’Accademia diplomatica europea veniva presentata come un passo concreto verso la nascita di un vero corpo diplomatico dell’Unione. Josep Borrell, al Collegio d’Europa nel 2022, lo disse chiaramente: “essere diplomatico europeo non è essere diplomatico nazionale. L’Europa è un’altra cosa.”

Oggi quel progetto, anziché essere celebrato, si ritrova al centro di uno scandalo mediatico globale, anomalo e sproporzionato, che ha trasformato un’indagine preliminare in un caso politico–mediatico globale. Un cortocircuito comunicativo che non è nato solo nei media, ma che è stato innescato – e non contenuto – da un sistema istituzionale europeo che continua a comunicare in modo frammentario, reattivo e impreparato a un ecosistema informativo ostile e in piena guerra ibrida.

Il punto che sento di dover sollevare non è la sostanza dell’indagine – che, pur senza conoscere le carte, prima facie appare ordinaria, preliminare e priva di clamorose imputazioni – bensì la sproporzione tra i fatti presunti e la loro rappresentazione pubblica.

I FATTI: UN’INDAGINE PRELIMINARE, NON UNO SCANDALO GIUDIZIARIO PLANETARIO

Secondo quanto ricostruito dalle comunicazioni ufficiali e dalle informazioni rese pubbliche dai media più informati, la Procura europea (EPPO) ha avviato un’indagine su presunte irregolarità nella procedura di gara 2021–2022 relativa all’Accademia diplomatica dell’Ue, sulla base di un esposto iniziale ricevuto dall’OLAF (l’Ufficio europeo per la lotta alla frode) e trasmesso all’EPPO per possibili profili penalmente rilevanti. 

Federica Mogherini, l’Ambasciatore Stefano Sannino e un dirigente del Collegio d’Europa (tutti e tre, ahinoi, italiani), il 2 dicembre, sono stati fermati, ascoltati per circa dieci ore, e poi rilasciati «perché non ritenuti a rischio di fuga».

Le accuse formali notificate sono solo ipotesi: frode negli appalti, corruzione, conflitto d’interessi, violazione del segreto professionale.

Ci troviamo quindi in una fase preliminare, senza imputazioni né decisioni giudiziarie.

Si è trattato – allo stato attuale – di un’operazione di acquisizione di documenti e interrogatori in un’indagine sulle modalità di una gara pubblica europea. 

Nulla che sembra poter giustificare titoli da cronaca nera o narrazioni da film di spionaggio. Eppure, il racconto pubblico è stato di tutt’altro tenore: frodi, corruzione, scandalo, “high-level European officials arrested”.

LA SPROPORZIONE TRA REALTÀ E NARRAZIONE: UN CASO DA MANUALE

Come ex portavoce dell’Olaf ho imparato a non commentare mai un’indagine senza conoscere le carte. Questa prudenza non mi impedisce tuttavia di osservare che lo scollamento tra realtà giuridica e narrazione mediatica è stato questa volta particolarmente grave.

Il comunicato EPPO, anonimo per quanto riguarda gli indagati, e tecnicamente ineccepibile, pubblicato sul sito web il giorno delle perquisizioni e dell’eco mediatico mondiale, visti i personaggi coinvolti, ha però utilizzato formule giuridiche (“detained”, “strong suspicions”) che, pur tecnicamente corrette, in un ambiente informativo internazionale, assumono significati molto più forti di quelli previsti dal diritto belga.

La mancata contestualizzazione – nessun reato accertato, nessuna precisa imputazione, fase preliminare, al di là della generica presunzione di non colpevolezza – ha lasciato che fossero i media e gli attori ostili all’Unione a riempire il vuoto.

Ne è derivata, allo stato delle nostre attuali conoscenze, incluse quelle sul funzionamento dell’Olaf, dell’EPPO e della giustizia belga, un’immagine piuttosto distorta della realtà.

La sproporzione tra fatti e racconto è stata impressionante, perché l’EPPO ha comunicato secondo le regole, e l’OLAF si é rifiutato di fare alcun commento. Ma tecnicamente corretto non significa politicamente efficace.

Il comunicato EPPO è arrivato tardi, quando il “caso” era già esploso con nomi e cognomi degli ex vertici massimi della diplomazia europea, entrambi italiani, in tutto il mondo. L’uso, pur legittimo, di termini come “detained” e “strong suspicions” è stato interpretato – soprattutto dalla stampa internazionale – come “arresti” e “prove”.

Ma la responsabilità comunicativa non può ricadere solo su EPPO e OLAF, i cui mandati sono prettamente investigativi.

Le istituzioni che più avrebbero dovuto guidare la narrazione – Commissione europea ed EEAS – sono rimaste in silenzio. Mentre, magari, avrebbero dovuto ricordare e segnalare in modo proattivo, disponendo di tanti esempi per la narrativa, che da decenni la Commissione europea ha una politica di tolleranza zero verso ogni tipo di frode, irregolarità e corruzione, senza guardare in faccia nessuno. Sottolineando che questa inchiesta nasce da organismi investigativi dell’Ue, a dimostrazione del fatto che le istituzioni Ue – a differenza di altri – hanno gli anticorpi per reagire ad ogni sospetto di patologia interna. Differenziandola di molto anche da molti Paesi extra europei che si sono sentiti in diritto di dare lezioni di correttezza, oltre che da altre organizzazioni internazionali, che prendono ad esempio il sistema Antifrode delle istituzioni Ue. Ma niente di ciò è stato fatto. In un silenzio fatto di no-comment che ha obbligato i media in buona fede, e permesso a quelli in mala fede, di colmare il vuoto con ipotesi, ricostruzioni parziali e narrazioni sensazionalistiche e scandalistiche.

Dimenticando che, in un contesto di guerra informativa, il vuoto comunicativo è un errore strategico.

IL FATTORE GEOPOLITICO: QUANDO IL SILENZIO ISTITUZIONALE DIVENTA AMPLIFICATORE OSTILE

Non mi pare infatti un caso che Mosca, assieme a Budapest, siano state le prime capitali a commentare la notizia delle perquisizioni, puntando il dito contro un’”Ue corrotta come l’Ucraina”. Pur senza sottovalutare le indubbie capacità degli ambasciatori russo e ungherese a Bruxelles nel brieffare, in sorprendente tempo reale, i portavoce governativi ai massimi livelli, mi incuriosisce in particolare la tempestività delle reazioni.

Dovrebbe essere noto al Berlaymont, oltre che all’Olaf ed all’Eppo che, in un contesto di guerra ibrida strutturata, ogni opacità comunicativa delle istituzioni Ue è da tempo immediatamente metabolizzata e trasformata in narrativa tossica contro l’Europa. E non si può quindi continuare a dare l’impressione di ignorarlo. Bisogna anticipare, attraverso una strategia di comunicazione proattiva, e non fatta solo dei soliti silenzi o balbettii criptici.

È lo stesso schema visto nel Qatargate: un’indagine reale, ma comunicata male, diventa carburante per campagne ostili. Qui, come allora, l’Europa ha mostrato impreparazione nel gestire la dimensione informativa delle proprie azioni investigative e giudiziarie. Che, invece di essere esempi di indipendenza investigativa, correttezza e trasparenza istituzionale (soprattutto per paesi come Russia ed Ungheria), è diventato un boomerang politico e mediatico.

Sarebbe quindi ora di comprendere che la doverosa trasparenza ed indipendenza investigativa senza strategia non sono virtù: sono vulnerabilità.

LA FRATTURA INTERNA: IL COMUNICATO DI R&D E L’ALLARME DEI FUNZIONARI EUROPEI

Un elemento nuovo e significativo è che, questa volta, a differenza che nel Qatargate, la reazione dei rappresentanti del personale delle istituzioni europee è stata immediata e severa.

Il principale sindacato del personale Ue, Rinnovamento & Democrazia (R&D), il 3 dicembre, ha indirizzato una lettera aperta al Commissario Piotr Serafin, responsabile dell’amministrazione, del bilancio e della lotta alla frode, denunciando : “la profondissima frustrazione” e la “reale collera” dei funzionari; l’impatto “devastante” sulla reputazione del servizio pubblico europeo; la gravità del coinvolgimento del Collegio d’Europa, definito “culla dei valori europei”; il rischio che casi di questo tipo siano strumentalizzati per minare il modello stesso di funzione pubblica europea.

La lettera, firmata dal Presidente di R&D, l’italiano Cristiano Sebastiani, sottolinea a giusto titolo che: “è indispensabile fornire rapidamente piena chiarezza, per non trasformare la reputazione del personale europeo in vittima collaterale”. E, soprattutto, che “le regole esistono e funzionano: vanno applicate con rigore, non modificate sull’onda dell’emotività politica”.

Il documento di R&D conferma quindi una vecchia preoccupazione: la vulnerabilità reputazionale delle istituzioni UE non è solo esterna, ma interna. E cresce a ogni caso comunicato in modo improprio. Alimentando la strategia ibrida di chi vuole demolire l’unità europea, cominciando proprio dalle Istituzioni Ue. 

IL NODO STRUTTURALE: UN SISTEMA ISTITUZIONALE CHE COMUNICA IN ORDINE SPARSO

Questa vicenda dimostra ancora una volta un fatto noto, ma mai affrontato: l’Unione europea comunica in modo frammentato. EPPO comunica da procura, l’OLAF si rifiuta di commentare. La Commissione e l’EEAS rispondono no-comment. La giustizia belga è molto criptica. Il Collegio d’Europa comunica come istituzione accademica.

Nessuno di questi attori, preso singolarmente, ha sbagliato.

Ma insieme hanno prodotto un effetto disastroso, perché hanno comunicato separatamente in una situazione che richiedeva: una strategia comunicativa coordinata, seppure nel rispetto delle rispettive funzioni e indipendenze; tempismo immediato; contesto chiaro; gestione del rischio reputazionale dell’Ue, di cui tutti gli attori (compreso il Belgio, che è Stato membro e fondatore) fanno parte; capacità di anticipare la disinformazione.

Invece, il silenzio coordinato, alternato al balbettio o alle indiscrezioni, si è trasformato in un rumore incontrollato.

L’appello di R&D lo afferma con nettezza: le norme europee (anche per quanto riguarda la lotta alla frode) esistono e sono adeguate. È la loro applicazione e la loro comunicazione a essere carenti. Per evitare che l’attività antifrode (che in Europa e nelle Istituzioni Ue esiste, a differenza di altre parti del mondo e di altri organismi internazionali) diventi un’arma di disinformazione – interna o esterna – l’UE deve imparare a comunicare meglio.

CONCLUSIONE: DIFENDERE L’EUROPA SIGNIFICA ANCHE SAPER COMUNICARE

L’UE ha costruito un sistema di tutela dei propri interessi finanziar, e possiede strumenti unici al mondo: l’EPPO e l’OLAF ne sono il fiore all’occhiello.

Questo è una forza. Ma questa forza deve essere accompagnata da una strategia comunicativa proattiva e commisurata alla portata degli strumenti utilizzati e dei personaggi potenzialmente coinvolti.

Le indagini antifrode, e la politica di “tolleranza zero” servono a scoprire frodi e irregolarità potenziali, non a creare scandali.

E non deve essere permesso che vengano utilizzate – come temo stia avvenendo da tempo – come strumenti della guerra ibrida contro l’Europa.

La trasparenza e la “tolleranza zero senza guardare in faccia nessuno” sono doverose. Ma la comunicazione è necessaria ed una strategia è indispensabile.

In assenza di quest’ultima, anche la migliore architettura antifrode rischia di trasformarsi nel migliore alleato delle narrazioni ostili.

E questo, per un’Unione sotto attacco ibrido permanente, non è più accettabile. E questa lezione non potrà più essere ignorata.

 

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