Se la bellezza salverà il mondo, toccherà all’intelligenza salvare l’Europa. Intelligenza nell’ormai sua doppia accezione: quella tecnica, rappresentata dalla simulazione delle capacità umane e del ragionare delle persone, cioè le prerogative dell’intelligenza artificiale.
E quella politica, perché spetta all’intelligenza dei governi e delle istituzioni alleggerire e cambiare in fretta le vecchie regole per consentire lo sviluppo dell’intelligenza artificiale. Ambito nel quale il nostro continente può aspirare all’espansione economica e a ridurre le disuguaglianze tra i cittadini.
Dopo aver presentato, l’autunno scorso, il rapporto sulla competitività alle istituzioni dell’Unione europea, rapporto tanto elogiato da tutti quanto rimasto in gran parte lettera morta proprio perché l’Ue non riesce ad attuare le misure proposte in modo tempestivo (specie nel campo digitale ed energetico), Mario Draghi ci riprova.
Riprova a indicare una visione e un senso geopolitico all’Europa, prospettando il campo in cui potrebbe e dovrebbe risorgere: l’intelligenza artificiale adottata su larga scala, ecco la sfida per ritrovare un ruolo e un posto fra Stati Uniti e Cina, che nel 2024 – ieri per la nostra epoca supersonica -, hanno prodotto 40 grandi modelli fondamentali a Washington, 15 a Pechino a fronte degli appena 3 forgiati a Bruxelles.
Lo stesso schema – ha detto Draghi – si osserva “in molte altre tecnologie di frontiera, dalla biotecnologia ai materiali avanzati alla fusione nucleare, dove numerose innovazioni significative e investimenti privati avvengono al di fuori dell’Europa”. Se non si colma tale divario, ammonisce, si rischia un futuro di stagnazione.
Intervenendo all’inaugurazione dell’anno accademico del Politecnico a Milano, l’ex presidente del Consiglio e già presidente della Bce ha elencato dati certi e politiche sbagliate. “Eravamo nel 2016, il regolamento europeo sulla protezione dei dati ha attribuito un peso molto elevato alla privacy rispetto all’innovazione”, ricorda.
Dunque, semplificare. Ma il primo passo è cambiare la cultura europea della precauzione, “ridurre l’onere della prova che imponiamo alle nuove tecnologie e attribuire al potenziale dell’intelligenza artificiale lo stesso peso che attribuiamo ai suoi rischi”. Sicurezza e innovazione devono camminare insieme, altrimenti sarebbe “come se, alla prima scossa elettrica, i nostri antenati avessero deciso di limitare l’elettricità stessa, invece di progettare impianti e standard di sicurezza che consentissero alla società di scontare il potenziale trasformativo”.
L’appello di Draghi agli europei è di riprendere il destino nelle loro mani, valorizzando il talento e i giovani. “Oggi quasi due terzi delle start-up europee si espandono negli Stati Uniti già nelle fasi iniziali rispetto a circa un terzo di cinque anni fa”, sottolinea.
In America con l’intelligenza artificiale i tempi di attesa in pronto soccorso sono diminuiti del 50%. Come dire: usare l’intelligenza con intelligenza è un interesse pratico e non solo l’idea perché l’Europa torni a contare.
(Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza, Bresciaoggi e Gazzetta di Mantova)
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