Bersaglio come un’ossessione dei soliti toni, con lui sempre sopra le righe, di Carlo Calenda e delle accuse di “sessismo” addirittura “raccapricciante” da parte di Pd e Avs perché esprime perplessità (“Rischia di alimentare lo scontro, intasando i tribunali con vendette”) come la stessa senatrice, avvocato Giulia Bongiorno autrice del codice rosso, sulla parte relativa al consenso della legge in Senato contro la violenza sessuale alle donne, Matteo Salvini, alla Camera, a margine di una conferenza stampa, però scherza su giornali e tv che gli riconoscono di aver vinto in Veneto. “Mi chiedo dove io abbia sbagliato”, ironizza con i cronisti.
Ma, all’indomani del clamoroso successo, che i sondaggi non avevano visto neppure con il binocolo (“Sarebbe bene fare rilevazioni più attinenti alla realtà”), basandosi su una fotocopia delle Politiche di tre anni fa, un successo in cui la Lega volando al 36 per cento, più delle Europee 2019, ha bissato Fratelli d’Italia, non mancano nei “giornaloni” analisi volte ad attribuire tutto il merito all’ex governatore, il plebiscitato da oltre il 70 per cento Luca Zaia. Il contribuito del “doge” è stato naturalmente decisivo anche stavolta. Ma per i “giornaloni” è come se Zaia non fosse leghista o appartenesse a un’altra immaginaria Lega, e Salvini fosse un segretario federale solo per caso, solo “fortunato”. Il tutto nell’ambito della solita eterna, stucchevole telenovela, da far impallidire Beautiful, una volta con protagonista Zaia e un’altra Giancarlo Giorgetti, cui vengono attribuite mire contro Salvini. Con previsioni così sballate da suscitare larghi sorrisi, retroscena che ogni volta vanno a sbattere contro la realtà.
Del resto, lo stesso leader leghista, vicepremier, ministro delle Infrastrutture e Trasporti, nella prima conferenza stampa a Padova con il più giovane governatore d’Italia, Alberto Stefani, 32 anni, aveva già ironizzato sul fatto di “essere stato dato per morto” praticamente dallo stesso giorno della sua prima elezione alla guida della Lega nel 2013 (confermato al congresso dell’aprile scorso), quando non solo salvò un partito ormai al 3 per cento, ma, rendendo la Lega nazionale, portò poi il partito-movimento a picchi di oltre il 30 per cento. Ma per certe “dotte analisi”, come le chiama il segretario federale, è come se la Lega fosse tornata a vincere nonostante Salvini. Analisi che portano impresso ancora il vecchio, arrugginito marchio di fabbrica, o meglio della “ditta” post-comunista o cattocomunista, secondo la quale la Lega sarebbe “una costola della sinistra”.
Lasciando ad ognuno i propri desideri e le proprie speranze regolarmente per decenni ormai smentiti dai fatti, che vedono la Lega, partito post-ideologico, pragmatico, stabilmente azionista di peso del centrodestra, il punto è che è Salvini il regista della vittoria della rimonta veneta. Senza nulla togliere al decisivo Zaia con le sue oltre 200.000 preferenze da capolista in tutte le circoscrizioni, il risultato è frutto di mesi di silenziosa battaglia interna e di mediazioni del leader leghista con gli alleati del centrodestra.
Mentre certa narrazione lo accusava di aver praticamente scaricato Zaia, Salvini, con spirito unitario e con massima discrezione, prima si è battuto con gli alleati, in primo luogo con il premier Giorgia Meloni, presidente di FdI, per il terzo mandato che avrebbe consentito al governatore di ricandidarsi, poi perché Zaia potesse almeno presentare la sua lista. Ma, per la netta chiusura di FdI – che legittimamente temeva che gli avrebbe eroso consensi e di Forza Italia che aveva messo in campo anche l’ex big leghista Flavio Tosi – entrambe le battaglie sono state perse. E a quel punto è partita la terza battaglia, quella vincente, con gli alleati, incentrata sulla richiesta, accolta, che il centrodestra candidasse un altro leghista.
La scelta, concordata con Zaia, è caduta sul giovane ex sindaco ragazzino di Borgoricco (Padova), già a 25 anni deputato, segretario della Liga Veneta, vicesegretario di Salvini (incarico quest’ultimo che manterrà), scelta benedetta da Lorenzo Fontana, presidente della Camera, al quale il neogovernatore veneto è storicamente molto vicino. A quel punto, è nata anche la decisione, sempre concordata, che Zaia facesse il capolista in tutte le circoscrizioni venete. Alla presentazione della candidatura di Stefani l’annuncio da parte di Zaia della discesa in campo da capolista della Lega, che aveva per destinataria Meloni: “Se io sono ritenuto un problema, diventerò allora un problema”.
Salvini è stato il vero autore di quello che si configura come il “capolavoro” Veneto. Che ora rafforza la sua leadership e il suo peso nello stesso governo dopo gli anni della discesa dei consensi leghisti con il Covid e la partecipazione al governo Draghi. Ma ieri Salvini ha mantenuto lo stesso spirito unitario nel centrodestra che è stato sempre alla base delle sue silenziose battaglie interne sul Veneto. Come già aveva fatto a Padova, ha ringraziato “la generosità degli alleati”. Perché ” ha vinto la squadra” nella Lega e anche nella coalizione. A chi gli chiede se ora punterà su un candidato leghista anche per la Lombardia, culla della Lega lombarda di Umberto Bossi che poi federò tutte le Leghe a cominciare dalla prima che nacque, la Liga Veneta, Salvini risponde che l’appuntamento è per il 2028. E non credendo che per la Lombardia, guidata dal presidente leghista, Attilio Fontana, si andrà al voto anticipato nel 2027, lui resta fedele al patto con gli alleati, secondo il quale il candidato sarà espresso dal partito che otterrà più voti.
Le Politiche del 2027 saranno un test decisivo. Quindi, se “FdI proponesse una valida candidatura”, nulla da obiettare. Quanto alle Politiche, ok a un bis di Meloni. Ma sulla riforma della legge elettorale proposta da FdI con l’abolizione dei collegi uninominali e l’ampliamento del proporzionale con il premio di lista per i due schieramenti, magari anche con l’indicazione del candidato premier, è tranchant: “La legge elettorale mi interessa men che meno”. Quanto invece al modello Lega Cdu-Csu riproposto da Zaia, Salvini conferma e rilancia il suo modello di Lega nazionale con la stessa conferenza stampa che ha per protagonista anche Claudio Durigon, sottosegretario al ministero del Lavoro, vicesegretario della Lega, di cui è responsabile per il Centro-Sud. Salvini con Durigon ricorda “il successo nazionale con il quale la Lega, dal Veneto alla Puglia, Campania e prima ancora Calabria, unisce l’Italia”.
Durigon ricorda che in Campania la Lega va sopra il 5 per cento e in Puglia con l’8 per cento batte addirittura i Cinque Stelle al 7, al 9 poi è già arrivata in Calabria. Ma quella di Salvini è tutt’altro che una polemica con Zaia per il quale fin dalla prima elezione nel 2010 il modello Cdu-Csu è una stella polare. Non mancano le considerazioni del vicepremier sulla politica estera con la richiesta che l’Europa che “zero ha fatto” non si “metta in mezzo ” tra Usa e Ucraina e quindi non ostacoli il piano di Trump. Posizione che non trova d’accordo l’altro vicepremier, ministro degli Esteri e segretario di FI, Antonio Tajani: “L’Europa invece si metta in mezzo”. Ma, come Meloni ha ricordato nei giorni scorsi, l’unità del centrodestra è un valore che si basa sulla pluralità, come ricchezza interna.
Il Veneto, dunque, è il risultato anche della squadra della coalizione. Ma è ovvio che lo sia soprattutto della squadra Lega, della sua scuola di amministratori, che vanta solo in Veneto oltre 167 sindaci, ricorda Salvini. Già la sera della vittoria di Stefani a Padova aveva omaggiato Bossi che ha sempre puntato sui giovani. Esempio ne sono gli stessi Salvini e Zaia, i giovani del Senatùr. Il primo da esponente movimentista a Milano conquistò anche i ragazzi bene di Via della Spiga e venne eletto in consiglio comunale in una città mai stata facilissima per la Lega, il secondo da ex pr inventore dei volantini da discoteca al “Manhattan” di Godega S. Urbano, diventò a Treviso il più giovane presidente di Provincia d’Italia, che estrosamente utilizzò gli asinelli per togliere le erbe sul ciglio delle strade, poi il governatore più votato d’Italia.
Per quanto riguarda il generale, Roberto Vannacci, uno dei quattro vicesegretari, Salvini ricorda che nella storia della Lega, attestati su posizioni radicali hanno convissuto anche “i Borghezio, i Gentilini (lo ‘Sceriffo’ ndr )”, ma poi la sintesi la fa da sempre il segretario federale. Sembra però di cogliere una puntura di spillo al generale, che ringrazia anche per la campagna elettorale in Veneto, quando Salvini invita tutti a lavorare, tacendo. “La Lega è a fisarmonica: scende e risale, ma ci sarà sempre”, disse alla sottoscritta Roberto Maroni, ex segretario federale, che volle Salvini come successore, “Bobo”, di cui in questi giorni è stato l’anniversario della prematura morte.
E a chiusura della giornata per Salvini è anche arrivata una buona notizia sul processo Open Arms, per il quale è attesa l’11 dicembre la sentenza della Cassazione: “Prendo atto con soddisfazione che la Procura Generale (della Cassazione ndr) ha sostenuto che non sussistono i reati”, ha commentato il “capitano”. Tornato con questo “titolo” per le cronache.



