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Ecco gli effetti del piano di Trump sull’Ucraina

Che cosa prevede il piano di Trump per l'Ucraina. L'intervento di Francesco D'Arrigo, direttore dell'Istituto Italiano di Studi Strategici "Niccolò Machiavelli".

Il piano di pace in 28 punti dell’Amministrazione Trump per porre fine alla guerra in Ucraina, rivelato da Axios lo scorso 20 novembre, come descritto non è altro che un atto di capitolazione dell’aggredito che soddisfa le richieste massimaliste dell’aggressore – il presidente russo Vladimir Putin. Si tratta di una vera e propria resa strategica dell’azionista di maggioranza del mondo libero, che fino a gennaio 2025 aveva impedito alla Russia di conquistare Kyiv e al popolo ucraino di respingere l’aggressione armata di Mosca.

La capitolazione che si vuole imporre a Kyiv, avviene in un momento in cui la situazione sul campo di battaglia è più o meno in parità, entrambe le parti si stanno di fatto distruggendo reciprocamente le infrastrutture energetiche e l’economia russa si sta avviando verso la recessione.

Secondo i dati ufficiali, la crescita del PIL russo nel terzo trimestre è stata dello 0,6%. Si prevede che i dati del quarto trimestre indichino l’inizio di una recessione. Sberbank ha appena deciso di licenziare il 20% della propria forza lavoro. La Russia ha iniziato per la prima volta a vendere riserve auree, presumibilmente per compensare le perdite di entrate derivanti dalle sanzioni recentemente imposte a Rosneft e Lukoil. La transizione della Russia verso un’economia pianificata, in tempo di guerra, non è sostenibile, con una forza lavoro in declino, indebolita dalla perdita di giovani uomini sacrificati in Ucraina e dalla fuga di milioni di cittadini russi per evitare la costrizione militare.

Architettura Militare della proposta

La riconfigurazione geopolitica in corso nell’Europa orientale, accelerata dall’invasione su vasta scala dell’Ucraina da parte della Russia nel febbraio 2022, ha raggiunto un punto cruciale con l’emergere della proposta di pace in 28 punti attribuita all’Amministrazione Trump. Un piano di pace americano per l’Ucraina che sembra essere stato redatto dallo stesso presidente Putin e consegnato nelle mani dell’immobiliarista inviato speciale della Casa Bianca, che lo ha fatto proprio. Anzi, secondo le indiscrezioni di alcuni senatori repubblicani, anche il Segretario di Stato Rubio avrebbe ammesso che i 28 punti sarebbero stati elaborati dal Cremlino.

La proposta di pace in 28 punti dall’Amministrazione Trump 2.0 introduce un quadro militare che rimodella radicalmente l’equilibrio di potere nell’Europa orientale, imponendo severe limitazioni alle forze armate ucraine e, al contempo, estendendo garanzie di sicurezza, descritte in un documento allegato, che sarebbero modellate sui meccanismi di difesa collettiva della NATO, richieste e fortemente sostenute dal presidente del Consiglio dei Ministri Giorgia Meloni.

Il quadro delle garanzie di sicurezza delineate al Punto 5 e descritte in un documento allegato all’accordo, promette “garanzie di sicurezza affidabili” che trattano “qualsiasi incursione russa come un attacco alla comunità transatlantica”, simile all’Articolo 5 della NATO, con fattori scatenanti per una “risposta militare coordinata decisiva” che include il ripristino delle sanzioni, come verificato nel rapporto di Axios. Questo impegno, pur essendo innovativo nell’estendere all’Ucraina protezioni simili a quelle della NATO senza un’adesione formale – esplicitamente vietata dal Punto 7, che richiede il riconoscimento costituzionale della non adesione – trae spunto da modelli bilaterali come il memorandum d’intesa USA-Israele (2016-2028). Tuttavia, gli analisti della RAND Corporation, nel loro Planning for the Aftermath: Assessing Options for US Strategy Toward Russia After the Ukraine War (febbraio 2024, analisi contestuale aggiornata novembre 2025), criticano tali garanzie per la loro dipendenza, non solo dalla volontà politica degli Stati Uniti ma anche degli altri Stati che dovessero decidere di aderire a tale dispositivo di difesa dell’Ucraina, che già evidenziano netti contrasti tra i contributi offerti all’Ucraina secondo le relazioni della NATO con l’ Ucraina. Dal punto di vista geografico, l’efficacia di questa garanzia dipende da schieramenti avanzati, come il proposto stazionamento di jet da combattimento europei in Polonia (Punto 9), che è in linea con la presenza avanzata rafforzata dei gruppi tattici della NATO, ampliati fino a raggiungere le dimensioni di una brigata nel 2025, ma esclude la presenza di truppe sul territorio in Ucraina (Punto 8), rispecchiando le proposte di Francia e Regno Unito per 2.000 unità di personale post-ostilità, assolutamente rifiutate da Mosca.

Le implicazioni politiche per la NATO includono una situazione di tensione all’interno dell’Alleanza, poiché il dialogo mediato del Punto 4 tra Russia e NATO rischia di diluire gli impegni di allargamento dell’Articolo 10, storicamente affermati per l’Ucraina al vertice di Bucarest del 2008 e ribaditi nei successivi incontri di Vilnius del 2025. Emergono differenze settoriali nella difesa aerea e missilistica, dove l’omissione della proposta di mantenere i sistemi missilistici a lungo raggio – implicita nella clausola di revoca della garanzia statunitense per attacchi non provocati su Mosca o San Pietroburgo (Punto 10) – contrasta con la riuscita integrazione da parte dell’Ucraina delle batterie NASAMS e Patriot, che nel 2025 ha raggiunto tassi di intercettazione dell’85% contro i droni Shahed.

All’interno di questa architettura si trova il Punto 6, che impone una drastica e pericolosa riduzione del personale militare ucraino a 600.000 unità, una cifra che rappresenta una significativa contrazione rispetto all’attuale forza operativa stimata in circa 900.000 unità di personale attivo alla fine del 2025, secondo le valutazioni dell’International Institute for Strategic Studies di Londra, nel suo rapporto “The Military Balance 2025”. Questo limite, come dettagliato nel documento Preparing for a Fourth Year of War: Military Spending in Russia’s Budget for 2025 dello Stockholm International Peace Research Institute, se confrontato con i livelli di forza sostenuti della Russia che superano 1,1 milioni di soldati attivi, rafforzati da un aumento della spesa militare di circa 15,5 trilioni di rubli (152 miliardi di dollari), raggiugendo il 7,2% del PIL nel 2025, crea un’asimmetria intrinseca che riecheggia le vulnerabilità esposte durante gli accordi di Minsk del 2014-2015, in cui i limiti sul numero di truppe militari, mai rispettati dalla Russia, non sono riusciti a impedire l’escalation del 2022. Una disposizione del genere non solo limita la capacità di profondità difensiva dell’Ucraina, ma limita anche la sua abilità di integrare tecnologie emergenti come i sistemi senza pilota, che si sono dimostrati fondamentali per compensare la carenza di personale da arruolare, con l’Ucraina che ha prodotto oltre 1,5 milioni di droni solo nel 2024, secondo il report Seven Contemporary Insights on the State of the Ukraine War del Center for Strategic and International Studies del 17 novembre 2025.

Questo limite di forza deve essere valutato alla luce delle attuali sfide di mobilitazione dell’Ucraina, dove le pressioni demografiche e l’attrito in tempo di guerra hanno già messo a dura prova le sue capacità di reclutamento, con un conseguente ammontare totale di personale di circa 2,2 milioni di unità, incluse le riserve, come riportato da Statista nel suo confronto militare tra Russia e Ucraina del 2025. Un ridimensionamento obbligatorio potrebbe pericolosamente inficiare la prontezza operativa, in particolare nelle unità di fanteria e artiglieria meccanizzate che hanno subito il peso delle tattiche di logoramento della Russia. Inoltre, il contesto ucraino differisce notevolmente a causa delle continue minacce ibride, dove la Russia oggi mantiene circa 620.000 soldati in teatro operativo, secondo le stime dell’International Institute for Strategic Studies. L’incapacità della proposta di delineare meccanismi di applicazione di questo limite – a differenza del monitoraggio verificabile previsto dagli Accordi di Oslo del 1993 – introduce un una minaccia metodologica, poiché le stime del personale russo potrebbero essere notevolmente superiori a causa di segnalazioni russe poco trasparenti, consentendo potenzialmente l’elusione attraverso attivazioni di contingenti della riserva o espansioni con proxy paramilitari.

Approfondendo le implicazioni sulla struttura delle forze, il limite di 600.000 unità richiede una svolta verso battaglioni ad alta intensità tecnologica, dando priorità alle Forze di Sistemi Senza Pilota (Unmanned Systems Forces) – istituite nel 2024 e ampliate nel 2025 per includere oltre 500 produttori di droni – rispetto alla fanteria tradizionale, come sostenuto nel documento del CSIS “Meno soldati, più droni: come sarà l’esercito ucraino dopo la guerra” (maggio 2025). Ciò è in linea con il programma di difesa ucraino del 2025, che assegna il 15% del bilancio ai settori cyber e spaziale, ma i vincoli della proposta potrebbero dimezzare l’approvvigionamento di migliaia di mezzi come carri armati e veicoli blindati.

Implicazioni geopolitiche, economiche ed energetiche del Piano TrumPutiniano

L’interazione tra limitazioni di forza e garanzie si manifesta ulteriormente nelle clausole nucleari e di non proliferazione (Punti 17-18-19), estendendo il Nuovo START – in scadenza a febbraio 2026 – e confermando lo status di non nucleare dell’Ucraina ai sensi del Trattato di non proliferazione delle armi nucleari, imponendo al contempo la supervisione dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica presso la centrale nucleare di Zaporizhzhia con una condivisione del potere paritetico al 50% tra Ucraina e Russia. Ciò affronta l’impatto militare globale della Russia di 2,7 trilioni di dollari nel 2024, secondo il SIPRI, ma trascura le vulnerabilità nucleari tattiche dell’Ucraina, dove la dottrina russa consente un uso sotto soglia, minando potenzialmente la credibilità della garanzia ed elevando le probabilità di escalation, in contrasto con il concetto strategico della NATO del 2025 che enfatizza i dialoghi “no-first-use”. A livello regionale, la base di caccia della Polonia migliora la reazione rapida, coprendo un raggio di risposta di 500 km, ma esclude il fianco ucraino del Mar Nero, dove la fanteria navale russa (10.000 uomini) mantiene il predominio, secondo i dati dell’IISS di Londra. Dal punto di vista politico, questa architettura richiede la ratifica del Congresso degli Stati Uniti per garanzie, simili al Taiwan Relations Act (1979), per mitigare la volatilità esecutiva.

Ampliando le ramificazioni operative, la zona cuscinetto demilitarizzata proposta a Donetsk (Punto 21) impone una zona neutrale post-ritiro ucraino, riconosciuta a livello internazionale come russa, evocando il modello della Zona Demilitarizzata coreana del 1953, con 28.500 soldati statunitensi impegnati a far rispettare le regole.

Tuttavia, senza personale analogo, la NSATU della NATO a Wiesbaden coordina 700 unità per l’addestramento, la zona rischia di diventare un avamposto russo, come si è visto nel Donbass prima del 2022, dove gli osservatori dell’OSCE hanno documentato incursioni quotidiane.

Dal punto di vista tecnologico, l’adattamento ucraino basato sui droni (2,5 milioni previsti per il 2025), potrebbe sostenere la deterrenza entro i limiti, ma la compensazione del Punto 10 per le garanzie di sicurezza statunitensi introduce ulteriori oneri economici verso gli USA, prevedendo costi annuali stimati nell’ordine di 10-15 miliardi di dollari. Storicamente, gli Accordi di Camp David (1978) hanno avuto successo attraverso ritiri e aiuti graduali, tuttavia i 524 miliardi di dollari di necessità di ricostruzione dell’Ucraina (World Bank RDNA4, febbraio 2025) creano dubbi sulle reali possibilità di ricostruire quanto devastato dai bombardamenti russi senza il cofinanziamento dell’UE, in base agli impegni di base della NATO di 40 miliardi di euro.

Quel documento prevede la cessazione delle ostilità attraverso un quadro che richiede sostanziali compromessi territoriali, militari e istituzionali da parte dell’Ucraina, offrendo al contempo incentivi alla reintegrazione economica della Russia e garanzie di sicurezza garantite dagli Stati Uniti. In sostanza, la proposta affronta le dimensioni militari ed economiche del conflitto protratto, ma si interseca anche con le vulnerabilità della catena di approvvigionamento globale, in particolare la riallocazione verso il controllo russo delle vaste riserve minerarie di terre rare dell’Ucraina, stimate in oltre 12,5 trilioni di dollari di valore nelle regioni occupate e contese. Delinea una riconfigurazione territoriale che formalizzerebbe il controllo di fatto della Russia sulla Crimea, sulle regioni di Luhansk e di Donetsk, istituendo al contempo una linea del fronte congelata lungo le attuali posizioni nelle regioni di Kherson e Zaporizhzhia, come delineato al Punto 21 della bozza. Questo accordo, che impone il ritiro ucraino dai possedimenti fortificati nella regione di Donetsk per istituire una zona cuscinetto demilitarizzata, neutrale e riconosciuta a livello internazionale sotto la sovranità russa, si estende oltre i semplici aggiustamenti cartografici per comprendere profonde vulnerabilità strategiche, in particolare nei settori dell’estrazione delle risorse e del posizionamento difensivo. Al 26 ottobre 2025, le forze russe mantengono il predominio operativo su circa il 75% dell’Oblast di Donetsk e quasi il 100% dell’Oblast di Luhansk, con avanzamenti incrementali che hanno conquistato ulteriori 1.200 chilometri quadrati a Est da gennaio 2025 (insediamento di Trump 47 alla Casa Bianca), secondo la valutazione della campagna offensiva russa dell’Institute for the Study of War, 26 ottobre 2025. Tali concessioni non solo consoliderebbero la presa di Mosca sui centri industriali vitali per la produzione di macchinari pesanti – Donetsk da sola rappresentava il 15% della produzione di acciaio ucraina prebellica – ma esporrebbero anche i fianchi meridionali dell’Ucraina alle incursioni revansciste, rispecchiando le vulnerabilità pre-2022 che hanno consentito le rapide avanzate russe verso Kharkiv e Kherson. Le vulnerabilità strategiche aggravano queste dislocazioni economiche, poiché le linee congelate a Cherson e Zaporizhzhia lascerebbero le strutture portuali di Odessa, che gestiscono il 40% delle esportazioni di grano dal Mar Nero, entro 150 chilometri dalle posizioni controllate dalla Russia, facilitando minacce ibride come lo sciame di droni del luglio 2025 che ha neutralizzato tre silos ucraini. Le valutazioni del Center for Strategic and International Studies nel loro rapporto “Russia’s Battlefield Woes in Ukraine” (11 agosto 2025) quantificano questa esposizione: le avanzate russe da gennaio 2024 hanno conquistato 5.000 chilometri quadrati, prevalentemente a Donetsk, consentendo la sorveglianza dell’artiglieria sui canali di irrigazione di Zaporizhzhia che irrigano il 25% dei terreni agricoli dell’Ucraina meridionale. Nell’Oblast’ di Zaporizhzhia, le implicazioni della riconfigurazione si estendono alle infrastrutture nucleari, con il Punto 19 che impone la supervisione dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA) sulla distribuzione di energia al 50% dalla centrale nucleare di Zaporizhzhia, la più grande struttura europea con una potenza di 6 gigawatt prima della guerra. Il controllo russo da marzo 2022 ha causato 12 blackout, rischiando di provocare crolli simili a quelli di Chernobyl del 1986, secondo l’Aggiornamento dell’AIEA sugli sviluppi della centrale nucleare di Zaporizhzhia (15 novembre 2025).

La cessione completa dell’Oblast di Luhansk consoliderebbe il predominio russo sugli hub di transito del gas, con 40 miliardi di metri cubi di gas all’anno trasportati in Europa prima della guerra, ora ridotti a 15 miliardi a causa delle controversie del 2025, secondo la relazione trimestrale della Commissione europea sui mercati europei del gas: terzo trimestre 2025 (ottobre 2025). L’esposizione strategica si intensificherebbe per le difese ucraine di Sloviansk, a 50 chilometri dai confini di Luhansk, vulnerabili all’accerchiamento come nell’assedio di Sievierodonetsk del maggio 2022.

Le riconfigurazioni meridionali di Kherson amplificherebbero anche le vulnerabilità marittime, con linee congelate che preservano i punti d’appoggio russi sul delta del Dnepr, controllando l’80% degli afflussi di acqua dolce essenziali per gli impianti di desalinizzazione di Odessa che riforniscono 1,2 milioni di residenti.

Lo status quo ante di Zaporizhia perpetua la coercizione energetica, con l’accesso russo ai giacimenti di manganese (3 milioni di tonnellate) che consente sinergie nella produzione di batterie, che si prevede cattureranno il 10% dei mercati asiatici dei veicoli elettrici entro il 2030, secondo il percorso Net Zero Emissions dell’AIE.

Una più ampia stratificazione geopolitica colloca questi cambiamenti all’interno dei riallineamenti eurasiatici, dove le conquiste territoriali russe potenziano i corridoi della Via della Seta attraverso la ferrovia di Donetsk, riducendo del 15% il transito Cina – Europa. Queste riconfigurazioni, se attuate, provocherebbero un ulteriore sbilanciamento della sicurezza dell’Europa orientale verso ulteriori squilibri guidati dalle risorse, con i guadagni in termini di estrazione che rafforzano la resilienza russa contro le sanzioni che nel 2025 erodono il 2,1% del PIL.

Questo Piano, se adottato, ricalibrerebbe l’architettura di sicurezza europea del 2025 verso equilibri transazionali, in cui i flussi minerari dettano alleanze, richiedendo una supervisione vigile per scongiurare una nuova era di coercizione estrattiva.

In definitiva, i fattori chiave dei 28 punti del piano, se non drasticamente modificati, delineano una capitolazione dell’Ucraina senza palesarne esplicitamente le implicazioni strategiche, geopolitiche ed economiche. Una resa che vanifica i sacrifici fatti dai suoi valorosi soldati e cittadini nei tre anni e mezzo di guerra su vasta scala, iniziata dopo la brutale, ingiustificata e mai dichiarata guerra di invasione della Russia contro l’Ucraina e di guerra ibrida contro l’Europa.

Forse l’aspetto meno appariscente presente nei termini della bozza di accordo, ma tra i più dirompenti dal punto di vista geopolitico, è rappresentato dal ripristino della Chiesa ortodossa russa in Ucraina e l’istituzione del russo come lingua ufficiale. Questa ennesima violenza alla democrazia ucraina, apparentemente innocua, si aggiunge al rapimento di migliaia di bambini ucraini in Russia e alla coscrizione forzata nell’esercito russo di uomini provenienti dai territori occupati. Il grande progetto della “Russkiy Mir”, la vera ideologia alla base del putinismo: ripristinare l’unità tra Russia e Ucraina ispirata da ideologi come Yuri Kovalchuk, Aleksandr Dugin e dal patriarca di Mosca e di tutta la Russia Kirill (Cirillo I), cari amici di lunga data del presidente Putin. Ideologia che si basa su una visione del mondo che è un miscuglio di «teorie del complotto anti americane, misticismo cristiano ortodosso, edonismo» secondo la quale tutto è lecito, anche la violenza, per ricostruire il Mondo Russo. Questa specie di culto trova la sua fusione più sgargiante a 70 km da Mosca. Lì il 22 giugno 2020 è stata inaugurata la Cattedrale delle Forze Armate Russe, con il presidente Putin e il patriarca Kirill presenti. In questa nuova ideologia, la guerra in Ucraina è stata riformulata come parte di un assalto alla civiltà russa mosso dall’Occidente, con il patriarca Kirill che ha condiviso le motivazioni della guerra e benedetto l’attuale conflitto in Ucraina, definendolo un ruolo divino dell’esercito russo che sta ripulendo il mondo da un’infezione diabolica. Poi, naturalmente, c’è il massacro di cittadini innocenti da parte di soldati russi in luoghi come Bucha, tutti fatti che non considerati nella bozza di accordo. Anzi, verrebbero graziati tutti i crimini di guerra: nessun processo a Norimberga.

Geopoliticamente, questa resa dei conti amplifica l’influenza della Cina, poiché il tacito sostegno di Pechino a Mosca e l’unilateralismo degli Stati Uniti rischia di compromettere l’Alleanza Atlantica per aver dato troppa importanza al transazionalismo rispetto all’applicazione delle norme.

La resa dei conti geopolitica si estende al fianco orientale della NATO, dove la garanzia transatlantica del Punto 5, che tratta le incursioni come attacchi alla “comunità”, rafforza la deterrenza ma omette la questione dell’uso di armi nucleari, che implica un rischio di escalation atomica. L’implementazione vacilla senza la proroga del New START del Punto 17 oltre febbraio 2026, poiché la dottrina militare russa consente l’uso al di sotto della soglia, invalidando potenzialmente le clausole di risposta del Punto 10 per gli attacchi non provocati.

L’attuazione nell’ambito del comitato umanitario del Punto 24 – “scambi tutti per tutti” si basa sul ritorno di 2.000 prigionieri di guerra, ma richiede protocolli di ricongiungimento familiare, ma non c’è alcun riferimento agli oltre 33 mila bambini ucraini rapiti e affidati a famiglie russe per la loro russificazione.

Il ruolo dell’Europa: arrivare alla pace senza preparare il terreno per una nuova guerra

Il desiderio dell’Amministrazione Trump di porre fine alla violenza in Ucraina è assolutamente lodevole e da supportare, ma non può essere basato sulla prevaricazione e l’indebolimento dei propri alleati storici europei, sui quali ricadrebbe l’onere di prepararsi a difendersi dall’attuale minaccia ibrida russa e dalla prossima invasione dei Paesi baltici, dando la vittoria all’aggressore. Gli uomini che, a quanto pare, hanno negoziato i punti chiave dell’accordo non hanno alcuna esperienza nei rapporti con la Russia o con negoziatori formatisi nelle accademie del KGB. Le promesse di “pace” offerte dai negoziatori russi, nella migliore delle ipotesi, sono scritte sulla superficie del ghiaccio polare, cioè pronte a essere cancellate dalla prossima nevicata di interessi economici artici. Il presidente Putin e gli espertissimi negoziatori del suo governo hanno completamente e platealmente manipolato l’inviato speciale della Casa Bianca Steve Witkoff, l’esperto immobiliare del presidente Trump, incaricato di negoziare con la Russia a nome e per conto di uno Stato sovrano aggredito e militarmente invaso, l’Ucraina. Forse l’inviato speciale Witkoff sta lavorando con l’idea secondo cui il presidente Trump ritiene che si possa raggiungere un appeasement con la Russia, facendo affidamento con una controparte come il Cremlino del presidente Putin. Si tratta di un grave errore di valutazione che comporterebbe una gravissima minaccia strategica e insostenibili conseguenze sia per l’Ucraina che per l’Europa. Una “pace” basata su questi presupposti sarebbe quasi un invito per il presidente Putin a iniziare un’altra guerra alla prima opportunità che gli si presenterà. La storia conosce molti paralleli, dall’Accordo di Monaco, usato per cercare di placare Hitler, alla quasi impunita presa della Crimea da parte dello stesso presidente Putin.

Chi studia la visione del “mondo russo” del presidente Putin, sa chiaramente che l’obiettivo è la distruzione dell’assetto democratico e del ruolo di potenza globale degli Stati Uniti, del sistema di governo delle democrazie liberali e dell’insieme degli ideali che rappresentano. Questo è il fulcro delle sue convinzioni. Il presidente russo e i suoi Servizi segreti stanno mettendo in atto ogni forma di guerra ibrida per indebolire gli Stati Uniti, la NATO e l’Europa. Non c’è da sorprendersi se i Servizi segreti russi stiano alimentando la radicalizzazione politica, i contrasti e la disinformazione sia in Europa che negli USA. Anche il contesto delle rivelazioni dei file Epstein, può essere inserito nella strategia di guerra cognitiva utilizzata per attaccare ogni possibile schieramento politico che sostiene l’Ucraina, inclusi i partiti democratico e repubblicano statunitensi, e lo stesso presidente Trump.

Il presidente Trump si trova ora ad affrontare il momento più significativo della sua presidenza in materia di sicurezza estera e nazionale. Sembra che i rappresentanti che ha scelto per negoziare con la parte russa lo abbiano lasciato in una posizione tale da essere ricordato per sempre nella storia come il Chamberlain del XXI secolo. Se non seguirà i consigli degli alleati europei, questa sarà la sua eredità se la fine temporanea della guerra (temporanea come quella di Gaza) sarà basata su quei 28 punti che sanciscono la vittoria politica di Mosca e la capitolazione dell’Ucraina. Sarebbe l’eredità del Paese che un tempo era il pilastro della forza del mondo libero. L’accordo, se imposto all’Ucraina senza le modifiche che stanno cercando di apportare alcuni leader europei, sarà ricordato nella storia con la stessa ignominia dell’accordo di Monaco del 1938 e avrà le stesse conseguenze: preparerà il terreno per una guerra ancora più grande.

Il piano negoziato dai funzionari statunitensi, se portato a termine con gli attuali presupposti, rappresenterebbe un genocidio culturale non solo contro il coraggioso popolo ucraino che ha coraggiosamente resistito all’aggressione di Mosca, ma anche un inconcepibile tradimento dei valori per l’intero mondo libero e democratico e dei principi sui quali si basa il Patto Atlantico.

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