Skip to content

L’Ucraina va verso una sconfitta?

L’offensiva russa, le difficoltà dell’Ucraina, l’apatia degli Stati Uniti. E l’Europa… L’analisi di Riccardo Pennisi tratta dalla sua newsletter "Homemade geopolitics".

È il quarto, dall’invasione della Russia il 24 febbraio 2022. Si annuncia come il peggiore – cioè quello in cui la sconfitta, parola certo dai molteplici significati e interpretazioni, diventa una possibilità concreta.

1. Energia. La Russia prende di mira e colpisce sempre più duramente le infrastrutture di elettricità e gas, lunghi black-out sono ormai quotidiani, in tutte le città inclusa la capitale. Il 60% della produzione ucraina di gas è fuori uso.

2. Debito. Ma senza riscaldamento non si superano i rigidi mesi invernali. Kiev è costretta a comprare energia dall’estero (soprattutto GNL dagli USA…), ma il bilancio dello Stato è in rovina: a gennaio i pagamenti potrebbero essere sospesi.

3. Prestiti. Chiusi i rubinetti USA (vedi tabella sotto), Zelensky deve battere cassa a una non euforica Europa – e infatti ha ricominciato i suoi pellegrinaggi nel Vecchio continente. Si è parlato di versare all’Ucraina i depositi bancari russi sequestrati, ma l’accordo su questa misura molto controversa non c’è. Si temono in fatti ritorsioni di vario tipo, oltre alla fuga punitiva (in solidarietà alla Russia) o preventiva (perché dovrei tenere i soldi in Europa se poi me li sequestri?) di capitali di altra provenienza.

4. Corruzione. Inoltre, gli scandali recenti, furti di circa 100 milioni di dollari ai danni delle aziende nazionali, che hanno colpito il governo fino ai più vicini collaboratori di Zelensky, non aiutano la reputazione del Paese come solvibile, e offrono un’altra carta a chi descrive l’Ucraina come uno stato fallito del cui peso liberarsi il prima possibile.

5. Impopolarità. La perdita di credibilità legata a questo scandalo è grave anche in patria. La popolarità di Zelensky era già in lenta discesa (ma ancora consistente). Però l’uomo-simbolo della resistenza del Paese è di certo indebolito, se non reagisce, nel momento in cui a Kiev si rubano miliardi mentre alla gente si chiede di soffrire e resistere a tempo indeterminato al freddo, sotto le bombe o nelle trincee.

6. Diserzioni. Ne sono una prova: solo per ottobre si parla di 20mila disertori, una cifra che l’esercito ucraino, già a corto di soldati, non può certo permettersi: nessuno osa chiamare alla leva la fascia d’età tra i 18 e i 24 anni, che è stata finora risparmiata perché dovrebbe rappresentare il futuro del Paese. Non è un caso che Mosca metta più che mai nel mirino i civili: ritiene possibile il crollo del fronte interno nel breve termine.

7. Negoziati. E infatti il Cremlino non negozia più: con l’aiutino del “generale Inverno” è convinta ora di poter vincere. La diplomazia sembra in stallo, per quanto si parli di trattative dietro le quinte: la Russia pretende ormai un’Ucraina smilitarizzata e indifesa come condizione per terminare la guerra.

8. Sconfitta. L’Occidente non sembra pronto ad accettare questa opzione, che metterebbe l’Ucraina sulla via di trasformarsi in una nuova Bielorussia, e che sarebbe uno shock politico e psicologico fortissimo sia per l’Europa che per gli Stati Uniti. Ma è a corto di piani: alle minacce di Washington, dopo i cuoricini riservati a Putin in Alaska, non è seguito nulla, nemmeno i promessi Tomahawk. L’Europa parla di una “coalizione di volenterosi”, pur sapendo che un contingente di qualche migliaio di truppe per sorvegliare l’immenso territorio ucraino sarebbe solo simbolico, e nonostante la contrarietà assoluta di Mosca a questa possibilità.

9. Guerra ibrida. Perciò la Russia moltiplica le operazioni di disturbo sull’Europa: sabotaggi sugli aeroporti, sulle ferrovie, sulle reti di comunicazione fisiche e digitali. L’obiettivo è semplice: agli Stati della UE deve passare la voglia di sostituire l’America come protettori dell’Ucraina.

10. Battaglia. Una vittoria sul campo (per esempio a Porkovsk) rafforzerebbe perciò ovviamente una narrativa russa tutta tesa a sottolineare questi aspetti. La tattica della difesa a oltranza, scelta dallo stato maggiore ucraino, costa carissima a Kiev, che rifiuta la ritirata dalla sacca in cui è chiusa per non offrire il trionfo a Putin, ma lo fa a costo di dissanguare le sue poche risorse.

11. Produzione. Nonostante questo, gli USA non daranno più armi. La cifra stanziata da Washington nell’ultima legge di bilancio è di circa 500 milioni, ossia il 4% di quanto ha deciso di spendere la Germania. Datele voi europei queste armi, però comprandole da noi, dice il piazzista Trump. Tuttavia, gli Stati Uniti non hanno ancora né versato tutti i fondi promessi per gli anni scorsi, né consegnato tutte le armi già ordinate. Il punto è che la produzione industriale americana non regge il ritmo della guerra.

Quella russa, aiutata dalla logistica e dalla componentistica cinese, invece sì.

Torna su