Elkann continua a vendere asset italiani del gruppo Exor. Ieri la Commissione europea ha approvato, ai sensi del Regolamento Ue sulle concentrazioni, l’acquisizione del controllo esclusivo di Iveco Group, con sede nei Paesi Bassi, da parte di TML Commercial Vehicles Limited, con sede in India. L’operazione riguarda principalmente la produzione e la fornitura di veicoli commerciali e componenti per autoveicoli. La Commissione ha concluso che l’operazione notificata non solleverebbe preoccupazioni sotto il profilo della concorrenza, data la limitata posizione di mercato congiunta delle due società derivante dall’operazione proposta. L’operazione notificata è stata esaminata nell’ambito della procedura semplificata di esame delle concentrazioni. (Redazione Start Magazine)
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ESTRATTO DI UNA RUVIDA ANALISI DI PAOLO BRICCO PUBBLICATA SUL SOLE 24 ORE DI OGGI SULLE STRATEGIE DEL GRUPPO EXOR DI ELKANN:
Un altro pezzo dell’industria italiana, nel silenzio assordante di troppi, se ne va. La cessione di Iveco agli indiani di Tata Motors produce una ferita simbolica (e dolorosa) nel nostro patrimonio industriale e introduce incognite concrete (e pericolose) nello sviluppo futuro del nostro tessuto produttivo. La ferita simbolica, che sembra interessare poco alla classe politica e perfino al ceto sindacale, riguarda il peso che Iveco ha avuto nella nostra storia. Le incognite concrete, ancora più sottovalutate dalle nostre (non) avvedutissime classi “dirigenti”, sono di natura strategica, con i centri di comando portati in India.
Iveco da quarant’anni un’azienda solida nella sua fisiologia industriale e commerciale. Il punto è che Iveco, da almeno dieci anni, è piccola. È piccola non perché il destino sia cinico e baro. È piccola perché la sua vecchia controllante Exor, da almeno vent’anni, ha una strategia di portafoglio basata sulla riduzione del peso dell’automotive. Quindi, quanto è successo in questi mesi è coerente con la traiettoria di lungo periodo degli Agnelli.
Con la acquisizione gli indiani comprano stabilimenti e tecnologie ma, soprattutto, assorbono un pezzo non irrilevante del mercato italiano ed europeo. E qui sorge l’incognita. Abbiamo già assistito alla spoliazione dall’interno di Magneti Marelli, azzerata dal fondo Calsonic di proprietà di KKR. Nel caso di Magneti Marelli – appunto ceduta dalla Fca degli Agnelli nel 2018 per 6,2 miliardi di euro – il fallimento è stato gestionale e industriale. E, di fatto, ha ridotto la capacità manifatturiera e innovativa del sistema italiano nella complessa transizione energetica verso il mondo dell’ibrido e dell’elettrico. Adesso il veicolo che vende è appunto Exor, la finanziaria degli Agnelli, che incasserà poco meno di 4 miliardi di euro.
Nel caso di Iveco, il pericolo è doppio. Prima di tutto riguarda la reiterazione della acefalia, che si verifica quando un grande gruppo industriale viene ceduto a investitori esteri. Perdi la testa. Perdi i centri decisionali. Tutto viene definito altrove. Aumenta la passività del tuo corpo industriale. E soprattutto, nella nuova economia internazionale in cui l’identità nazionale determina le strategie aziendali, aumenta la probabilità che, in caso di riduzione dei costi manifatturieri consolidati, la lontana Italia venga sacrificata all’India: negli stabilimenti, nell’occupazione, nella ricerca. Nessuno crede veramente che la scelta formale di mantenere il quartiere generale a Torino sia appunto più che una scelta formale.
Il secondo pericolo riguarda la rete di fornitura italiana. Perché, appunto, Tata Motors ha la sua rete di componentisti indiani, che oggi hanno un livello discreto di qualità e costi industriali ancora ben inferiori a quelli europei. È già successo con Stellantis. I fornitori italiani si sono visti preferire – durante il periodo Tavares – i loro omologhi francesi, spagnoli e marocchini, con la costruzione – allora – di una filiera che, da Parigi, arrivava a Barcellona e scendeva a Rabat, a discapito degli industriali di Torino, di Sesto San Giovanni, di Modena e di Vicenza. Oggi la fornitura di Iveco è per la maggior parte italiana. È naturale che, adesso, i loro costi verranno comparati a quelli dei loro colleghi (e concorrenti) indiani. Il silenzio (disinteressato) intorno a questa cessione è stato di troppi. Il rischio è che – nei prossimi anni – si alzino le grida (di dolore) di tutti .



