Da settimane sembra che la guerra in Ucraina stia arrivando a un punto di svolta, non positivo per gli ucraini. Lo scandalo per corruzione ai vertici del governo ucraino aggiunge un elemento rilevante: forse l’uscita di scena del presidente Volodymyr Zelensky potrebbe sancire una tregua. O forse no, forse certificherebbe la disfatta.
Però, anche se nessuno formula la domanda ad alta voce, è inevitabile adesso chiedersi se Zelensky non sia diventato un ostacolo a una tregua, se non a una pace.
Il presidente è in piena attività a livello internazionale, è appena volato a Parigi da Emmanuel Macron, presidente francese paralizzato nell’azione domestica che però continua a rivendicare a livello europeo un ruolo di leadership in politica estera.
L’accordo tra Macron e Zelensky prevede per l’Ucraina la possibilità di comprare 100 caccia Rafale F4 entro il 2035 e sistemi di difesa anti-aerea Samp-T di nuova generazione, bombe e droni.
Dopo che gli Stati Uniti di Donald Trump hanno ridotto sempre di più il sostegno in termini di forniture militari, i principali Paesi dell’Unione europea cercano di compensare.
Sul terreno, però, la situazione è sempre più critica, a conferma delle previsioni che da mesi circolano negli ambienti militari NATO secondo le quali l’Ucraina era destinata ad andare incontro a problemi forse critici durante l’inverno 2026.
Per la prima volta da anni, l’Ucraina rischia di perdere città cruciali per la difesa dell’integrità territoriale di quello che resta del Paese.
Jack Watling del think tank britannico RUSI ha spiegato su Foreign Affairs la logica dell’assalto russo: avanzare per conquistare Kharkiv, Mykolaiv e Odessa, chiudere l’accesso al mare dell’Ucraina, e assicurarsi che il resto del Paese non abbia più le risorse per sopravvivere senza il benestare di Mosca, come potenza occupante:
La Russia oggi concepisce il proprio obiettivo strategico di sottomettere l’Ucraina come articolato in tre fasi, delle quali solo la prima implica combattimenti effettivi.
Per iniziare, Mosca punta a occupare o distruggere una quota sufficiente di territorio ucraino da fare in modo che ciò che resta sia economicamente sostenibile solo con l’assenso della Russia.
I pianificatori russi ritengono che questo obiettivo possa essere raggiunto se la Russia mantiene le quattro oblast che ha già annesso e aggiunge Kharkiv, Mykolaiv e Odessa, tagliando di fatto l’Ucraina fuori dal Mar Nero.
In queste condizioni, il Cremlino cercherebbe un cessate il fuoco, nella convinzione di poter passare a una seconda fase in cui, facendo leva sugli strumenti economici e sulla guerra politica, sostenute dalla minaccia di una nuova invasione, eserciterebbe il controllo su Kiev.
Nella terza fase, la Russia assorbirebbe l’Ucraina nella propria orbita in una forma analoga a quella della Bielorussia.
Al momento, però, la Russia è ancora lontana dal conseguire anche solo la prima di queste fasi. I vertici militari russi sperano che, se riusciranno a logorare le Forze armate ucraine, i loro guadagni territoriali sul campo di battaglia accelereranno.
La Russia è all’offensiva da due anni e la pressione sull’Ucraina aumenterà man mano che si assottiglia la densità dei difensori ucraini. Il numero di fanti nelle unità ucraine diminuisce di mese in mese, anche se il numero complessivo delle truppe ucraine resta stabile.
Non è detto che la Russia riesca a raggiungere i suoi obiettivi territoriali, ma certo l’Ucraina fatica sempre di più a resistere.
Sia per il mancato sostegno americano, sia per l’assenza di una chiara strategia europea: dietro i tanti slogan a Bruxelles e nelle capitali, non viene mai esplicitato se l’obiettivo del sostegno a Kiev è limitare i danni di una sconfitta, far perdere la Russia e quindi abbattere il regime di Vladimir Putin, o soltanto tenere impegnato l’esercito di Mosca in Ucraina affinché non minacci Stati membri dell’Ue o della NATO.
Il problema è che l’unica strategia incompatibile con la quantità di sostegni erogati e con i rapporti di forza sul terreno è una resistenza a tempo indefinito dell’Ucraina.
Cosa può sbloccare la situazione? Come evidente dal completo fallimento diplomatico degli Stati Uniti di Donald Trump nell’ultimo anno, Putin non ha interesse a un vero negoziato, neppure nel formato proposto dagli americani che esclude sia gli ucraini che gli europei.
Per Putin ci sono soltanto due opzioni: la vittoria o la sconfitta, cioè la sopravvivenza o la caduta del regime e della Russia come la conosciamo.
Poiché sembra che né gli americani né gli europei vogliano vincere e accettare i rischi di escalation o di instabilità che puntare ad abbattere Putin comporta, si arriva alla necessaria conclusione che soltanto qualcosa che Mosca possa presentare come una vittoria può fermare la guerra, o almeno metterla in pausa.
In assenza di conquiste territoriali decisive, un cambio di leadership a Kiev potrebbe – forse – sbloccare la situazione e dare a Putin una vittoria simbolica priva però di implicazioni formali e concrete. Senza che sia una disfatta per la controparte.
Zelensky è l’eroe di guerra che ha cambiato la traiettoria del conflitto quando nel 2022 ha rifiutato l’offerta degli americani di lasciare il Paese e guidare un governo in esilio ed è rimasto ad affrontare le bombe.
Ma oggi è il capo di un governo scosso dal più grave scandalo di corruzione degli ultimi anni. Uno scandalo che arriva agli uomini più vicini al presidente. E, soprattutto, uno scandalo che Zelensky ha provato a insabbiare questa estate quando si è dovuto rimangiare una legge per sottomettere al governo le agenzie anti-corruzione soltanto dopo le proteste di piazza.
Al centro dello scandalo c’è Timur Mindich, socio di Zelensky fin da quando si occupavano di produrre film, passato a business più redditizi quando l’attore che interpretava il presidente in una fiction è stato eletto davvero a quell’incarico.
La rete di riciclaggio e sottrazione di fondi pubblici con al centro Mindich avrebbe fatto sparire 100 milioni di dollari, sottratti in gran parte al fondo che doveva garantire le forniture energetiche agli ucraini. Per questo è stato sospeso il ministro della Giustizia German Galushchenko, fino a luglio ministro dell’Energia.
Anche altri stretti collaboratori di Zelensky sono sotto accusa. Un ex ministro della Difesa ha trattato con Mindich una fornitura di giubbotti antiproiettile difettosi a prezzi gonfiati, poi l’accordo è saltato.
Le agenzie SAP e NABU stanno conducendo una serie di inchieste di cui questa è la più dirompente. Ed è un segnale incoraggiante che anche con un Paese in guerra ci siano magistrati in grado di contestare la corruzione ai più alti livelli del governo.
Ma non è un merito che può prendersi Zelensky, visto che questa estate il presidente aveva firmato una legge per sottomettere le due agenzie all’esecutivo e di fatto poter neutralizzare le inchieste sulla politica.
E questo proprio mentre la Commissione europea chiede all’Ucraina di rendere le agenzie anti-corruzione più indipendenti ed efficaci così da combattere uno dei mali endemici del Paese, già prima della guerra.
Donald Trump e molti leader di destra europei hanno da tempo adottato l’argomento di Putin: Zelensky è un presidente illegittimo perché nel 2024 ha rinviato le elezioni. Anche gli estimatori rimasti di Zelensky faranno fatica a difenderlo.
Un cambio di leadership a Kiev segnerebbe sicuramente una svolta drastica nel conflitto. In quale direzione è difficile prevederlo e dipende da come viene preparata.
(Estratto da Appunti, la newsletter di Stefano Feltri)




