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antisemitismo

Alle radici del pregiudizio antiebraico della sinistra e della destra americana

Con una eredità storica così lunga e pesante, non deve sorprendere che oggi negli Stati Uniti - a destra come a sinistra - la questione dell'antisemitismo sia riesplosa con virulenza nell'arena politica. L'intervento del professor Marco Mayer.

Il pregiudizio antiebraico affonda le sue radici in un processo di colpevolizzazione plurisecolare da parte della cultura cristiana.

Si è molto discusso di quale fosse il significato originario dell’espressione “perfidia giudaica” all’epoca dei Padri della Chiesa. Molti studiosi sostengono che nei primi secoli dopo Cristo il termine latino perfidia non indicasse soltanto malvagità, ma anche eresia. Non vi è, tuttavia, alcun dubbio che nel medioevo e nell’età moderna la formula (o meglio la maledizione) liturgica dei “perfidi ebrei” si sia profondamente radicata – con rare eccezioni – nella cultura popolare dell’Europa intera. Non potevano bastare neppure i sei milioni uccisi dai nazisti nel corso della Shoah a recidere completamente le radici di un disprezzo e di un odio popolare millenario.

Per fortuna, la legittimazione cattolica dell’antisemitismo (o meglio: antigiudaismo, come lo definiscono i teologi) si dovrà aspettare il 1965 con la dichiarazione Nostra Aetate del Concilio Vaticano II. Altre confessioni cristiane non hanno purtroppo compiuto questo profondo percorso di revisione liturgica e dottrinale. Si pensi ad esempio a buona parte delle chiese evangeliche e/o ortodosse.

Con la conquista delle Americhe il pregiudizio antiebraico si è diffuso oltreoceano e progressivamente sino ad oggi in tutto il mondo. Con una eredità storica così lunga e pesante non deve sorprendere che oggi negli Stati Uniti – a destra come a sinistra – la questione dell’antisemitismo sia riesplosa con virulenza nell’arena politica. Un editoriale dei giorni scorsi del Wall Street Journal critica aspramente Kevin Roberts, il presidente della ultratrumpiana Heritage Foundation. Perché? Kevin Roberts non ha avuto il coraggio di prendere le distanze dall’ex guru di Fox News Tucker Carlson (per inciso, una delle persone più vicine al vice presidente JD Vance), che ha mandato in onda una sua intervista con Nick Fuentes, celebre per la sua ammirazione di Hitler e le sue tesi negazioniste.

È bene precisare che in questo caso non c’entra il diritto al free speech, ma il Wall Street Journal critica il tono incredibilmente conciliante di Carlson, che è parso abdicare al suo ruolo stesso di giornalista. Oggi l’antisemitismo è un tema divisivo nel Partito repubblicano. Non c’è solo il caso del presidente della Heritage Foundation, ma anche altre vicende inquietano l’opinione pubblica conservatrice. Per esempio Politico ha pubblicato una chat dei giovani repubblicani con migliaia di messaggi filonazisti del tipo I love Hitler!.

Una divisione analoga avviene nel Partito democratico, soprattutto dopo l’elezione del nuovo sindaco di New York Zohran Mamdani. La celebre Antidefamation League – che da più di un secolo combatte l’antisemitismo – ha deciso ad esempio di avviare uno specifico monitoraggio sulla nuova amministrazione. A New York vivono più di un milione di ebrei, quasi tutti di orientamento democratico. Ma solo un terzo ha votato Mamdani, mentre due terzi hanno scelto Andrew Cuomo. Il nuovo sindaco ha sostenuto il boicottaggio delle università israeliane sin dal 2014 ed ha assunto posizioni altalenanti rispetto allo slogan Globalize the intifada.

Questi atteggiamenti hanno suscitato e suscitano forti timori nella comunità ebraica della città. Non si deve inoltre dimenticare che a New York vivono molte famiglie provenienti da paesi arabi e a maggioranza islamica dove c’erano consistenti comunità ebraiche che oggi, purtroppo, non esistono più. Una parte consistente di democratici accusa, inoltre, la leadership di non avere sostenuto con sufficiente energia i tanti studenti ebrei vittime di minacce e di violenze in numerosi campus universitari degli Stati Uniti.

Non pochi esponenti politici democratici simpatizzanti delle campagne Propal hanno, infine, ignorato alcune distinzioni e pilastri fondamentali in materia di antisemitismo e antisionismo. Una cosa è criticare il governo Netanyahu, una cosa completamente diversa è negare il diritto all’esistenza dello Stato di Israele. Di fronte all’emergenza dell’antisemitismo montante servirebbe un approccio bipartisan perché c’è ancora tanta strada da fare (e non solo negli Stati Uniti) per sconfiggere, a destra come a sinistra, chi promuove e diffonde l’odio contro gli ebrei.

Questa battaglia non può essere delegata soltanto agli ebrei, che rappresentano meno dello 0,2 della popolazione mondiale. Dopo ottant’anni il totale della popolazione di religione ebraica nel mondo è, infatti, tornato ad essere circa 16 milioni, più o meno quanto prima della Shoah, che come sappiamo si era ridotta ad 11 milioni. Combattere l’antisemitismo significa affermare i diritti di tutte le minoranze, lottare per la piena libertà religiosa e in ultima analisi impegnarsi per tutelare i diritti fondamentali della persona che, come ci ha insegnato il compianto Antonio Cassese, non sono una prerogativa dell’Occidente, ma principi universali.

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