Massimo D’Alema torna alla Camera dopo quella lontana sera del 2012 in cui, rabbuiato, non volle commentare con i cronisti l’annuncio del suo passo indietro da una nuova candidatura alle Politiche del 2013, con Matteo Renzi in procinto di vincere le primarie.
D’Alema, fuori dal Parlamento da 13 anni ma mai fuori dalla politica, torna a varcare la soglia di Montecitorio da presidente della Fondazione Italianieuropei per la presentazione, nella Sala Berlinguer, al gruppo del Pd, del nuovo numero dell’omonima rivista, tutto dedicato al lavoro. Ci sono accanto a lui la segretaria del partito Elly Schlein (arrivata in ritardo per impegni parlamentari), il segretario generale della Cgil Maurizio Landini, la deputata dem Cecilia Guerra, l’ex commissario al Lavoro in Europa Nicolas Schmit. Ad assistere, il gruppo dirigente dem al gran completo, dal capo dell’organizzazione Igor Taruffi al responsabile Esteri Giuseppe Provenzano a Marta Bonafoni, capo della segreteria. E poi i deputati Nico Stumpo, Arturo Scotto e il responsabile Università Alfredo D’Attorre. Ma tutti i riflettori sono puntati sull’ex premier, l’unico ex comunista alla plancia di comando di Palazzo Chigi, l’uomo dell’azzardo della Bicamerale per le riforme istituzionali con Silvio Berlusconi, anche l’uomo della guerra in Kosovo e della solidarietà immediata agli Usa, con un’intervista esclusiva a Panorama del Gruppo Mondadori agli Usa feriti a morte con tutto l’Occidente l’11 settembre 2001. Una cifra tale della sua leadership da collocare D’Alema sempre una spanna al di sopra del suo stesso partito, il Pci e tutte le varie sigle in cui poi è confluito, dal Pds, di cui è stato segretario, ai Ds di cui è stato presidente fino al Pd e alla battaglia contro la “rottamazione ” da parte di Renzi. E però non riuscita, come plasticamente dimostra anche lo stesso ritorno a Montecitorio del “Leader Maximo”, disteso e sorridente che con i cronisti parlamentari scherza: “Prestigioso riessere qui, ma anche scomodo, controlli, documenti, diciamo…”.
Parafrasando la celebre battuta di Nanni Moretti, si potrebbe dire: mi si nota certamente di più se non vengo più qui da 13 anni. E rispetto a Renzi, il “riformista” rottamatore, che rischia di sembrare ormai schiacciato sulla linea massimalista di Schlein e Landini, D’Alema appare più autonomo, nella sua nuova veste. Dà anche consigli non richiesti alla segretaria del Pd, come “fornitore di idee”, uomo senza più incarichi. Schlein abbozza un sorriso quando D’Alema afferma che nello spirito “di una coalizione non ci sono egemonie di partito, si vince e si perde tutti insieme” . D’Alema invita a un allargamento della coalizione alle aree degli intellettuali, ma il “consiglio” dalemiano a osservatori di lungo corso suona riferito alle tensioni per la leadership nel “campo largo” e sembra un po’ stridere con la determinazione di Schlein per essere candidata alla premiership opposta al presidente del Consiglio Giorgia Meloni.
I cronisti al suo arrivo circondano D’Alema, lo incalzano con le domande sulle primarie e proprio sulla leadership del “campo largo”. Lui: “A me sembra dannoso” che le persone che non hanno responsabilità politiche commentino quanto accade, “mi interessa di più fornire delle idee. Il mio lavoro non è di essere un leader politico. Sono fuori. Non partecipo, non faccio parte degli organismi dirigenti di nessun partito”. “L’esperienza mi dice che devo stare fuori da questo tipo di dibattito”, spiega. A chi insiste chiedendogli se sarà Schlein la candidata alle primarie, replica secco: “Arrivederci”. Con il tono di chi intende ribadire che il tema è più ampio e lui non intende entrare nella cronaca al minuto di quei giornali che una volta disse che preferiva “lasciare in edicola”.
Ma, poi, appunto, durante l’intervento, D’Alema qualche consiglio lo distribuisce. “La logica del sistema elettorale è quella: si vince o si perde tutti insieme, le egemonie di partito hanno un valore relativo”, spiega dopo aver premesso di rivolgersi alle leadership del centrosinistra. E poi: “C’è una parte importante del mondo della cultura che è pronta a dare un contributo e che dovrebbe essere chiamata in modo più esplicito”. Osserva: “È importante che riprenda questo dialogo tra politica, sindacato e cultura. Vorrei dire ai leader che c’è una parte del mondo della cultura che è pronta a dare un contributo e che bisognerebbe chiamarla più spesso a dialogare. Non solo con la leadership di un partito ma con tutto il campo largo. Questa discussione sarebbe bello farla tutti insieme. Perché la logica del sistema elettorale è che si vince e si perde tutti insieme”.
Landini e Schlein attaccano a testa bassa la “Finanziaria” Meloni con i tagli fiscali al ceto medio, parlano di un ampio spettro di contribuenti che va da 50.000 a 200.000 euro lordi annui, che il governo privilegerebbe a danno dei ceti più poveri, senza peraltro, sostengono, fare nel caso di quelli del ceto medio più basso “neppure veri tagli, ma 440 euro all’anno”. Il salario minimo bocciato dal governo è centrale “per le nuove generazioni” e sotto attacco anche quello che viene definito “il tentativo di privatizzare sempre più, a cominciare dalla sanità”. D’Alema è sostanzialmente d’accordo, come sull’elogio della vittoria di Mamdani a New York che “ci ha rincuorati” e che definisce un “socialdemocratico americano”, ma invita anche le opposizioni a fare un “manifesto di prospettiva”, alternativo al governo, perché non si tratta di favorire “solo una parte, ma tutto il Paese”.
Il cuore dell’intervento è sui temi del lavoro e delle diseguaglianze sociali, che sono poi il filo conduttore della rivista Italianieuropei appena uscita. “Il tema della retribuzione – sostiene – del lavoro non è soltanto la difesa di una parte della società, ma ha a che vedere con il destino del nostro Paese. Io credo che sia molto importante conquistare questa sponda”. Poi, l’elogio delle politiche dell’Ulivo e prima ancora delle riforme “dei difficili anni 70”. E la critica al “sovranismo”: “la politica dei confini chiusi significa per l’Italia da qui ai prossimi cinquant’anni avrà 40 milioni di cittadini con una media di 62 anni. E questo sarà la fine del sistema sociale e pensionistico”. “Nella capacità di fare comprendere che il nucleo fondamentale dei nostri valori corrisponde alle esigenze di offrire una prospettiva al nostro Paese si giocherà molto della partita per il governo”, avverte ancora. Prosegue, dando anche una spiegazione dell’astensionismo elettorale: “In questa sfida sarà fondamentale tornare a parlare a quella parte più debole della popolazione. La crescita delle diseguaglianze determina che cadono le aspettative nei confronti del modello democratico. Cadono le aspettative verso la democrazia e quando si va a vedere chi non vota il livello di astensione delle classi sociali più basse tocca il 70 per cento”. Conclusione: “Sta diventando una democrazia censitaria”.
Applausi a scena aperta della platea (che non ne aveva riservati agli altri relatori). Riparte l’assedio dei cronisti all’ex premier che cerca di guadagnare l’uscita. La domanda sulla barca di Roberto Fico, candidato in Campania, lo indispettisce e scatta il rimprovero: “C’è un limite alla miseria umana, intellettuale e morale… diciamo. Io fortunatamente non sono più tenuto a partecipare a questo tipo di roba qui. La lascio a voi”. Ma poi la chiusura del pomeriggio del ritorno è un vero e proprio D’Alema show. Un cronista cambia bruscamente tema: “È felice della Roma di Gasperini?”. D’Alema si volta per un attimo, “felicissimo”, ribatte sempre camminando. E lo scudetto, presidente? D’Alema rallenta. Frena. Si volta. “Ragazzi…”, e si lascia andare agli scongiuri. Toccandosi i cosiddetti. Poi, sulle “iene dattilografe” esclama con un sorriso trattenuto: “Ma dove li trovano questi?!”. D’Alema è tornato. E si è notato. Al “Massimo”.






