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Cosa si dice e cosa non si dice su Cnel, authority, Rai e non solo

Cnel, authority, Rai, commissioni parlamentari… I membri di molte istituzioni pubbliche sono mossi dal tornaconto e non servono granché. Sarebbe meglio il sorteggio: il caso contro il caos. Il corsivo di Battista Falconi

Qualcuno ancora lo lamenta. Le Autorità di garanzia pubbliche, nate per tutelare alcuni ambiti strategici, non sono credibili né indipendenti a causa di nomine partitiche che si riducono a logiche spartitorie. Ci vorrebbero – non ci si crede davvero, qualcuno ancora lo suggerisce – bandi pubblici, commissioni tecniche, merito e competenza. Per eleggere virginali alieni super partes, presumiamo, essendo noi il Paese la cui correttezza emerge dai dati del nero e del sommerso (valore stimato 182 miliardi, una decina di manovre economiche).

La questione incontra un’effimera attualità solo perché Agostino Ghiglia, membro del Garante per la Privacy, minaccia azioni legali contro Sigfrido Ranucci e Report che la Rai rigetta, paventando accuse di censura e danni economici. Ranucci ha definito la richiesta una grave interferenza ma non raccoglie la sfida a un dibattito pubblico, altrettanto inutile dal punto di vista sostanziale che i processi e le sentenze, ma almeno più celere e divertente.

L’ingenuità di chi rispetto alle nomine pubbliche, Rai inclusa, reclama un’autonomia meritocratica – impossibile, trattandosi di organismi soggetti a un Parlamento basato sull’alternanza e mescolanza di spartizione e scontro, mascherati sotto l’eufemismo di “confronto” – è francamente irritante. Il problema reale è un altro e risolve anche l’altrettanto fuffosa questione della “competenza” dei nominati: queste autorità non servono a quasi nulla, sono inutili e pleonastiche rispetto a problemi risolvibili tranquillamente con le norme loro preesistenti. Lo diceva un liberale doc, dunque per nulla statalista e politicista, come Antonio Martino: le authority?, burocrazie inutili e dannose visto che le loro funzioni possono benissimo essere svolte da direzioni ministeriali.

Se davvero le si considera necessarie e se ne auspica l’autonomia, il problema è risolvibile con il sorteggio, già opportunamente ventilato in ambito giudiziario. Il caso contro il caos, per sintetizzare. La sorte è l’unico antidoto contro la malafede e l’interesse personale che muovono la gran parte delle istituzioni pubbliche. Interesse declinabile in senso politico o in più banale ma concreto tornaconto personale, come nel caso di Renato Brunetta al Cnel, che neppure dopo la sfuriata meloniana – una sfiducia palese, un accompagnamento sulla porta di uscita – ha avuto il pudore di un passetto indietro o di lato e di dimettersi. Valutando evidentemente che era meglio tenersi lo stipendio, ancorché non aumentato.

Ma il Cnel a che serve, non dovevamo chiuderlo? L’inutilità resta la vera e vexata quaestio. Non chiediamo alla politica di fare altro che quanto fa: lo scontato balletto di contrapposizioni frontali e combine sottobanco, coperte da una montagna di chiacchiere buone per social, talk e giornalisti: sicurezza, patrimoniale, elezioni a NYC, la qualunque. E non chiediamo ai media di fare altro che cavalcarle, vedi Report che riesuma una foto del 2015 di Chiara Colosimo, presidente della Commissione parlamentare Antimafia, con un busto di Mussolini. Un fatto reale e grave, cui lei risponde imbarazzata: «Ho fatto una stronzata». Questione chiusa o aperta, ma comunque semplice e chiara come lei. Invece no: il programma ci mescola rapporti presunti e controversi con la destra eversiva, uno zio condannato per mafia (non ricadono solo le colpe dei padri …) e la perplessità espressa sulla sentenza per la strage di Bologna, condivisa nel 2009 da Giorgia Meloni leader di Azione Giovani. Ma anche da molte altre persone, anche di sinistra. Che diavolo c’entra?

La questione è sempre un’altra, è sempre la stessa. La commissione Antimafia a che serve? Le commissioni parlamentari a che servono?

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