Ci si può fidare della Cina? Stando al numero di accordi stretti dalle università italiane con atenei cinesi si direbbe di sì, tuttavia, diversi esperti mettono in guardia dai pericoli di trasferimento tecnologico e perdita di competenze, soprattutto in materia di difesa. Il giornalista esperto di intelligence, Gabriele Carrer, nella sua newsletter Radar, ha fatto luce sulla situazione.
21 (RISCHIOSI) ACCORDI
Secondo il lavoro di ricerca di Carrer, ventuno accordi collegano atenei italiani ai “Sette figli della difesa nazionale”, università che la Cina considera strategiche per il proprio sviluppo militare e ad alto rischio di trasferimento tecnologico. L’indagine basata sui dati del database CINECA mostra che, nonostante il piano governativo per la sicurezza della ricerca approvato un anno fa, alcune università italiane hanno continuato a stipulare nuove collaborazioni con istituti legati al partito-stato cinese.
CHI SONO I “SETTE FIGLI DELLA DIFESA NAZIONALE”
Si tratta di istituzioni formalmente civili ma sotto la supervisione del ministero cinese dell’Industria e dell’Informatica (MIIT), con un mandato politico-militare esplicito. Questi atenei sono al centro dei programmi di innovazione militare cinese e operano in settori sensibili come quello missilistico, aerospaziale e navale. Molti loro laureati lavorano in aziende statali della difesa e nell’ambito della strategia di “fusione civile-militare” promossa dal presidente cinese Xi Jinping. Inoltre, svolgono un ruolo chiave nel trasferimento di conoscenze e tecnologie dual-use.
GLI ACCORDI TRA ITALIA E CINA
Carrer si concentra quindi sugli accordi che legano università italiane ad atenei cinesi e ne individua 21, che suddivide così in base ai “Sette figli della difesa nazionale”, tra cui solo la Harbin Engineering University non ha accordi con atenei italiani:
Beihang University
Tra il 2024 e il 2025 sono stati attivati tre accordi tra la Beihang University e università italiane, segnando un interesse crescente per collaborazioni accademiche con uno dei principali atenei cinesi nei settori aerospaziale e ingegneristico, in particolare con tre atenei nostrani: Genova, La Sapienza e Pisa.
Beijing Institute of Technology
Con il Beijing Institute of Technology (incluso l’Intelligent Robotics Institute) sono attivi dieci intese bilaterali – tra accordi quadro, memorandum e protocolli attuativi – che coinvolgono diversi ambiti scientifici e tecnologici, soprattutto ingegneria, informatica, fisica e diritto, e prevedono collaborazioni in didattica, ricerca e mobilità accademica. Ecco le università italiane coinvolte: Torino, Firenze, Genova, Modena, Napoli, Parma, Pavia, La Sapienza di Roma, Pisa e Cassino.
Harbin Institute of Technology
Carrer segnala poi tre gli accordi attivi tra l’Harbin Institute of Technology e università italiane, focalizzati su ambiti tecnico-scientifici, ricerca e scambi accademici, con il Politecnico di Torino e con l’Università di Bologna.
Nanjing University of Aeronautics and Astronautics
Altrettanti gli accordi attivi per la Nanjing University of Aeronautics and Astronautics, tutti con la Università di Siena.
Nanjing University of Science and Technology
Uno l’accordo della Nanjing University of Science and Technology con La Sapienza di Roma.
Northwestern Polytechnical University
Infine, anche con la Northwestern Polytechnical University di Xi’an esiste un accordo quadro in Italia., in particolare con l’Università di Firenze
COSA (NON) DICONO BERNINI E MANTOVANO
Il 7 novembre 2024, ricorda Carrer, il governo italiano aveva annunciato un piano d’azione nazionale per proteggere università e ricerca dalle ingerenze straniere. Durante la presentazione, però, né la ministra Anna Maria Bernini né il sottosegretario Alfredo Mantovano menzionarono esplicitamente la “Cina”, per evitare tensioni diplomatiche in coincidenza con la visita del presidente della Repubblica Sergio Mattarella a Pechino.
Mantovano infatti dichiarò che il piano “non è contro qualcuno” ma “a tutela” della ricerca, mentre Bernini ribadì che “non esistono Paesi buoni o cattivi, esistono buone o cattive pratiche”. Tuttavia, l’elefante nella stanza era chiaramente la Cina…







