Riconosco al compianto Giorgio Forattini, appena scomparso a 94 anni, il merito di averci- scusandomi del presuntuoso plurale- tanto a lungo fatto sorridere, non ridere della politica. Che lui raccontava e insieme spiegava e commentava nelle sue vignette con tanto garbo quanto acume, ironia, mai sarcasmo ostile. Che invece qualche volta il pur amico ed estimatore Eugenio Scalfari, sulla sua Repubblica, avvertiva e gradiva così poco da censurarlo.
Non c’era in lui sconcezza neppure quando avvolgeva nella sua abbondante nudità l’amico Giovanni Spadolini. Che, per quanto spesso permaloso nel sentirsi criticare o attaccare, a Forattini chiedeva addirittura gli originali delle vignette che lo riguardavano per conservarle e gustarsele perché riconosceva in quella nudità quasi fanciullesca “l’odore di bucato” raccontato da Indro Montanelli nel sostenerlo elettoralmente a Milano come candidato al Senato. Prima che gli preferisse, e facesse preferire a molti suoi lettori la Dc, pur turandosi il naso, per evitarne il sorpasso da parte del Pci.
Un altro che chiedeva, o faceva chiedere a Forattini gli originali di qualche vignetta in cui era disegnato particolarmente curvo nelle sue spalle, con una gobba allusiva ai segreti che custodiva, era Giulio Andreotti. Che ogni tanto si guadagnava dal vignettista anche una coda rossa di Belzebù sporgente dal suo abito rigorosamente nero.
Non gradì invece, sino a denunciarlo, se non ricordo male, Massimo D’Alema di vedersi proposto al pubblico come un presidente del Consiglio impegnato a sbianchettare una lista di ex spie politiche italiane dei tempi dell’Unione Sovietica. Se ne scrisse e se ne parlò per qualche mese per i documenti che uscivano ogni tanto dagli archivi segreti di Mosca pagandone i custodi con qualche centinaio o migliaia di dollari.
Non aveva gradito nel 1974 neppure Amintore Fanfani, disegnato da Forattini come il tappo di una bottiglia di champagne saltato via con la conferma del divorzio nel referendum abrogativo fortemente voluto e sostenuto dall’allora segretario della Dc. Che il predecessore ed ex delfino Arnaldo Forlani, sempre come segretario del partito scudocrociato, aveva prudentemente fatto rinviare due anni prima, sino a preferirgli le elezioni anticipate.
Non avrebbe gradito più di venti anni dopo neppure il segretario del Pci Enrico Berlinguer avvolto da Forattini in una vestaglia molto borghese, e spaventato con i capelli irti appunto di paura, sentendo arrivare dalla finestra i fischi e le urla di un corteo di protesta dei metalmeccanici in sciopero contro un governo di Andreotti interamente democristiano e sostenuto dai comunisti con l’astensione. Che poi sarebbe paradossalmente diventato voto di fiducia vero e proprio a chiusura di una crisi aperta dallo stesso Berlinguer per far sentire di più il peso del suo partito nella cosiddetta maggioranza di “solidarietà nazionale”. Che era la versione riduttiva del “compromesso storico” proposto dal Pci per partecipare al governo, non per appoggiarlo da fuori.
Grazie, carissimo Giorgio, di averci così tanto e così a lungo divertiti con la misura del tuo stile inconfondibile e l’acutezza, ripeto, superiore a tante nostre cronache, a tanti nostri retroscena, a tanti nostri editoriali.






