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Il vero non è giusto: che ce frega del Sudan?

Il Sudan non fa notizia né titolo, non è mainstream, niente flottiglia, niente manifestazioni, niente piazze. La tragedia sudanese è vera quanto la palestinese, è più grave, ma la nostra attenzione non è giusta. L'intervento di Battista Falconi.

Troppo presi dal Ponte sullo Stretto, dal no della Corte dei conti e dalla reazione irata di Meloni, i media italiani e di conseguenza l’opinione pubblica si distraggono. Solo così si può provare a spiegare l’inumana sottovalutazione di quanto è accaduto in Sudan e che sarà quindi utile almeno riassumere.

El Fasher, la capitale del Nord Darfur, è caduta dopo 18 mesi di assedio, l’esercito supportato da Egitto, Turchia e Iran ha abbandonato la città e le Rapid Support Forces sostenute da Emirati Arabi, Ciad e Libia (la Russia mantiene rapporti con entrambe le fazioni), eredi dei Janjaweed responsabili del genocidio del 2003-2005, secondo l’OMS hanno ucciso oltre 460 civili nel Saudi Maternity Hospital. Le immagini satellitari mostrano corpi nelle strade, Human Rights Watch e ONU denunciano esecuzioni sommarie e pulizia etnica contro Fur, Zaghawa e Masalit. Circa 12 milioni di sfollati (la peggiore crisi al mondo), oltre 26.000 civili già fuggiti, 177.000 intrappolati.

Anche se non si usa il termine genocidio, forse vi ricorda qualcosa? Eh, però niente: il Sudan non fa notizia né titolo, non è mainstream, niente flottiglia, niente manifestazioni, niente piazze. Il che, a proposito del Ponte, dello scontro tra magistrati e politici, del referendum sulla separazione delle carriere che diventerà il tormentone dei prossimi mesi, dimostra una sola cosa: il vero non è giusto. La tragedia sudanese è vera quanto la palestinese, è anche più grave, ma la nostra attenzione non è giusta.

Sul Medio Oriente peraltro siamo tanto più sensibili ma pare questo non risolva, almeno a leggere quanto incredibilmente dice l’Arcivescovo di Milano Mario Delpini sul Sole 24 Ore, in pellegrinaggio in Terra Santa con altri vescovi lombardi. Siamo davanti a un “grande enigma senza via d’uscita”, “gli israeliani sono pazzi… i palestinesi sono pazzi”, “parole auspicabili come dialogo, diplomazia, riconciliazione non sono forse neanche pronunciabili ora”, “questo paese ha perso la bussola, non ha più un orientamento che meriti di essere perseguito”, “non si sa da che parte cominciare a raccontare le urgenze”. Alla speranza, che dovrebbe essere virtù teologale alla pari di fede e carità (e alla quale è dedicato il Giubileo 2025), resta un rapido cenno: “L’unica parola di speranza che si possa pronunciare in questo contesto è l’operosità profonda, generosa, di tante forze di bene”.

Quello che Delpini dice è purtroppo verissimo, anche se non è giusto che lo dica un vescovo, un cattolico. Che lo dica la Chiesa.

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