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pubblicità politica meta Ue

Ecco chi ci rimette davvero col bando di Meta alla pubblicità politica nell’Ue

Stando a un articolo della Columbia Journalism Review, lo stop di Meta alla pubblicità politica nell’Ue sta tagliando fuori un gran numero di articoli, compromettendo l'informazione e l'accesso degli utenti alle testate giornalistiche, già a rischio di sopravvivenza. Fatti e commenti

 

Regole inattuabili o avversione per la trasparenza? Meta impedisce di mostrare pubblicità politiche e su temi sociali sui suoi social nell’Unione europea a causa della sua normativa, considerata da Zuckerberg troppo rigida. Ma il risultato, secondo un articolo della Columbia Journalism Review, è che così facendo esclude molti contenuti giornalistici, limitando di conseguenza sia la completezza dell’informazione online su temi di attualità sia l’accesso dei lettori alle testate giornalistiche, che già faticano a non chiudere.

UN DIVIETO IMPROVVISO CHE COLPISCE TUTTI

All’inizio di ottobre, le redazioni europee hanno scoperto con sorpresa che Meta aveva bloccato tutti gli annunci legati a “questioni politiche, elettorali e sociali”. La misura, adottata per reagire alle nuove norme europee sulla pubblicità politica online, avrebbe dovuto limitarsi alla propaganda. In realtà, afferma l’articolo della Columbia Journalism Review, ha cancellato anche migliaia di inserzioni di giornali e riviste: offerte di abbonamento, raccolte fondi, promozioni editoriali e persino articoli culturali.

La decisione, tra l’altro, è arrivata nel momento peggiore possibile: nel pieno delle campagne di fine anno e in un periodo in cui molte testate francesi, per esempio, si preparano alle elezioni municipali del 2026. “E all’improvviso, tutte le nostre campagne sono state bloccate – ha raccontato Marie-Agnès Cuisset, responsabile del marketing digitale di La Croix -. Meta era per noi un canale chiave: costi bassi, pubblico qualificato, abbonamenti”.

SOLO UN ALGORITMO DIETRO A TUTTO QUESTO

Il sistema di controllo degli annunci di Meta, spiegano gli autori, è completamente automatizzato: individua parole chiave sospette, senza valutare il contesto o la natura giornalistica del contenuto. Così, un semplice titolo come “Come affrontare il cambiamento climatico?” o “Qual è il futuro della sanità pubblica?” può essere scambiato per pubblicità politica e rifiutato.

Per le redazioni, il risultato è frustrante. “Puoi trattare un tema senza sostenerlo – ha detto Julie Lelièvre di Vert, una testata indipendente dedicata all’ecologia -. Il nostro lavoro è informare, non fare propaganda. Ma il sistema non fa distinzioni”.

CAMPAGNE BLOCCATE, STRATEGIE STRAVOLTE

Le conseguenze sono diverse a seconda delle dimensioni degli editori, afferma l’articolo. I grandi gruppi come Bayard, a cui appartiene La Croix, riescono a presentare ricorsi e in alcuni casi a riattivare gli annunci. Ma per le testate indipendenti la paralisi è totale. “Basta che un annuncio venga segnalato per bloccare l’intero account”, ha riferito Marie-Laure Gardaz di XXI, rivista di giornalismo narrativo del gruppo Indigo Publications.

Molte testate, inoltre, avevano ottenuto la certificazione Meta per gli annunci su temi “politici, elettorali e sociali”, convinte che fosse un requisito di conformità. Invece, proprio quella certificazione è diventata un ostacolo: con l’entrata in vigore del divieto, tutti gli account certificati sono stati automaticamente esclusi.

LA DIPENDENZA DALLE PIATTAFORME

Il blocco di Meta ricorda alle redazioni europee quanto siano vulnerabili alle decisioni delle grandi piattaforme tecnologiche. Basti pensare al “pivot to video” imposto da Facebook nel 2015, che aveva costretto molte testate a cambiare strategia di distribuzione per poi abbandonarla bruscamente.

Oggi la storia si ripete: un singolo cambiamento di policy può cancellare mesi di lavoro. “Quando una piattaforma controlla la visibilità e il traffico, basta un aggiornamento per far sparire tutto”, ha commentato il direttore di una testata indipendente.

RESISTERE O ADATTARSI

Nonostante tutto, quasi nessuna redazione può permettersi di lasciare Meta. La piattaforma resta il canale più economico ed efficace per raggiungere nuovi lettori. LinkedIn e TikTok non offrono lo stesso pubblico e X ha perso centralità. Così, la maggior parte degli editori preferisce adattarsi piuttosto che fuggire.

Alcune testate, come Vert, stanno però sperimentando modelli alternativi. Collaborano con creator digitali e media affini per aumentare la visibilità organica. “Piuttosto che pagare Meta, pagare un creator impegnato può essere un investimento migliore”, spiega Lelièvre. Una recente collaborazione con Le Tréma ha raggiunto quasi quattro milioni di visualizzazioni.

VERSO UNA NUOVA INDIPENDENZA DIGITALE

La crisi ha spinto molte redazioni a rivedere il proprio rapporto con le piattaforme. Il gruppo Indigo, per esempio, sta centralizzando le competenze di marketing delle sue cinque testate e cercando nuovi spazi digitali come Reddit, “una piattaforma che ama ancora i media e i link”, ha detto Gardaz.

“Ogni anno o due c’è una crisi con i social – ha aggiunto Samuel Chalom, responsabile social di Indigo -. Ma ci spinge a fare meglio, a non dipendere troppo da nessuno”.

Le piattaforme tech, conclude, giocano da sempre una doppia partita con i media: prima li corteggiano, poi li abbandonano. Per i piccoli editori, la vera sfida è costruire una rete di cooperazione e ricostruire un rapporto diretto con i lettori. Solo lì si trova la vera indipendenza: nei legami di fiducia, non negli algoritmi.

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