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Il vero appendino di Giuseppe Conte è Goffredo Bettini

Che cosa sta succedendo nel Movimento 5 Stelle di Conte? I Graffi di Damato pubblicati sul quotidiano Il Dubbio.

Se l’Appendino di Giuseppe Conte ,con la maiuscola del cognome all’anagrafe torinese, è la dimissionaria vice presidente del MoVimento 5 Stelle, quello al minuscolo della sua funzione di gruccia, essenziale in un guardaroba, è Goffredo Bettini, detto anche con una certa simpatia “il monaco” del Partito Democratico. Che confessa e si confessa, secondo i casi, con chi gli capita a tiro, dentro e anche fuori del suo partito. Un’attività, quest’ultima svolta all’esterno, che l’Appendino, con la maiuscola, ha indicato come origine, causa e quant’altro dei guai elettorali dei pentastellati. I quali perdono voti in direzione dell’astensionismo o addirittura del centrodestra per la costanza, ormai, di Conte convinto da Bettini, appunto, ad allearsi col Pd, pur cercando ogni tanto di distinguersene con formule più o meno magiche come quella del “progressista indipendente”, o del “campo giusto, piuttosto che largo”.

Bettini naturalmente non ha gradito la rappresentazione dell’Appendino, sempre con la maiuscola, che avrebbe ecceduto nelle sue caratteristiche di “donna forte e combattiva”. E ha voluto fornire al Foglio la testimonianza della fatica che gli costa confessare e consigliare uno come Conte: “misurato, dialogante, incassatore tuttavia dentro – ha raccontato – un nucleo di convinzioni, punti di riferimento culturale, ideali e valori inossidabili, formato da grandi giuristi liberali e illuminati e del pensiero cattolico progressista”. Lui invece, Bettini, cresciuto fra “i comunisti italiani”, con tutti i loro meriti organizzativi, per carità, anche se non vantati esplicitamente, ma con l’inconveniente di avere perduto la partita con la storia, viste la fine fatta dal comunismo e le contorsioni fra le quali essi hanno poi cercato di sopravvivere al crollo dandosi nuovi nomi e simboli, compreso l’ultimo a mezzadria, condiviso con i resti della sinistra democristiana.

Dell’”amico” Conte, come ha tenuto a vantarsi, Bettini ha omesso di ricordare e di apprezzare – perché no?, non trattandosi di caratteristiche negative almeno in una misura, diciamo così, contenuta, proporzionata all’uomo e alle circostanze – la furbizia e l’ambizione, ingredienti naturali anche di un politico. Una furbizia, sino allo sconfinamento nella disinvoltura, che gli consentì nel 2019, per esempio, di rimanere presidente del Consiglio, dopo uno strappo col vice presidente leghista Matteo Salvini, cambiando non dalla mattina alla sera, ma dalla sera alla mattina la maggioranza realizzandola col Pd. E l’ambizione , dopo la furbizia, di tornare a Palazzo Chigi, se e quando ne verrà il momento, pur disponendo di un partito che è ormai una versione bonsai di quello che ve lo aveva portato nel 2018 sorprendendo non solo gli elettori pentastellati, ai quali era stato adombrato al massimo come ministro della pubblica amministrazione, ma anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Il quale si aspettava dichiaratamente, per nominarlo a capo del governo, almeno qualcuno passato per un consiglio comunale.

A Palazzo Chigi, certo, mira anche la segretaria del Pd Elly Schein “testardamente” impegnata a costruire l’alternativa al centrodestra con un’alleanza comprensiva di Conte. Ci aspira nella logica di un Pd a vocazione maggioritaria, almeno più forte e numeroso di tutti quelli della coalizione, se non il più forte e numeroso di tutti. Ma Bettini, furbo forse anche più di Conte, le ha ricordato sul Foglio che il Pd rinunciò a quella vocazione nel momento in cui si liberò del suo primo segretario Walter Veltroni, che l’aveva teorizzato. Per cui ora al Nazareno potrebbero acconciarsi anche ad un terzo governo Conte, se mai – ripeto – dovesse venirne il turno.

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