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Giornalisti e partiti divisi alla meta (mancata)

Il divide conta assai più dell’impera non solo in politica... Il corsivo di Battista Falconi

Elenchiamo, molto approssimativamente, i principali dissidi interni che lacerano le forze politiche. Nell’M5S Appendino se n’è andata e Conte si fa confermare capo da un vertice indebolito, mentre addirittura si riaffaccia Grillo con il vecchio sito del movimento. Nel Pd, Pina Picierno si agita e Goffredo Bettini costituisce un raggruppamento dei moderati: aumenta insomma la preoccupazione per l’estremismo di Schlein, che con la sua concorrenza a Fratoianni e Bonelli rischia solo di confondere gli elettori; peraltro, le gaffe di Landini (la “cortigiana” e soprattutto la disastrosa vicenda dei referendum con bassa affluenza e votanti molto critici) non sembrano dissuaderlo dall’autocandidarsi come leader. Nella Lega, Salvini raccomanda di non traumatizzare la situazione, cercando così di mediare tra il deludente Vannacci e l’indomito Zaia. Le Regionali in Veneto, a proposito, e ancor più quelle in Campania, dove si conferma la discesa in campo dell’ex ministro Sangiuliano, confermano la diffusa confusione tra liste, candidati e partiti.

Questo senza dimenticare ovviamente banche, pensioni, affitti brevi che mettono in contrapposizione i partner di maggioranza alle prese con la legge di bilancio. Meloni però prosegue nella scalata alla vetta della longevità, ormai è sul podio, vicina al record della legislatura ininterrotta. Ha ragione Gianfranco Pasquino che, con sarcasmo forse involontario ma efficace, avvisa la premier: così proseguendo, smentisce la propria affermazione che servano nuove leggi per rafforzare gli esecutivi.

Le opposizioni invece – spostiamoci dalle questioni inter, “nei” partiti, a quelli intra, “tra” i partiti – sembrano rimproverarla di non aver mantenuto il loro auspicio, di non traballare come e più dei consueti esecutivi tricolore. È sufficiente seguire una decina di minuti di un talk di prima serata de La7, il fuoco di fila ininterrotto, per capire che (dicendola alla Schlein) Giorgia, FDI, governo e maggioranza rappresentano un pericolo per la democrazia in quanto longevi e tutto sommato solidi. Al massimo, i sinistri maitre-à-parler riescono a riempire il cahier de doleances delle promesse elettorali e di programma mancate: figuriamoci, come se ci fosse in giro qualcuno in grado di fare di meglio, nella disastrosa contingenza in cui ci muoviamo.

A livello sovrannazionale, le incertezze certo non diminuiscono. L’Ue di Ursula von der Leyen si riunisce e partorisce documenti per la salvezza del mondo e programmi per la propria, ma l’impressione è che conti nulla sui tavoli globali, dove nemmeno gli stakeholder più robusti (USA, Russia, Cina, Turchia, Egitto, Paesi arabi…) sembrano in grado di guarire le aree turbolente dai loro mali endemici: Medio Oriente e Ucraina, per non parlare di Corea, Taiwan o dell’immenso sud africano e americano.

È divertente come, in questo contesto in cui il divide conta assai più dell’impera, proliferi e domini l’opinione salvifica di giornalisti, commentatori e influencer. Come Sigfrido Ranucci, vittima di un attentato sul quale ci si dovrebbero augurare rapide indagini e punizioni di esemplare severità per i responsabili che sembra divenuto la preoccupazione principale di Vaticano, Quirinale, Ue, politica trasversalmente intesa. Maggioranza e opposizioni si sono ritrovate assieme in piazza, ancorché specularmente ostili, per manifestare solidarietà. Divisi alla meta mancata, potremmo dire. Non staremo un filo esagerando? Non sarà che le sinistre, inseguendo le piazze anziché guidarle, orfane almeno per ora della battaglia Pro Pal, cercano una nuova arma di distrazione di massa così da evitare che emerga la loro inconsistenza? Così come soffiano sul fuoco delle fragilità globali per non riconoscere a Trump i meriti della sua pur bislacca tattica pacifista.

No, non “ci” salverà Report. Al massimo, “si” salverà. Nel frattempo consoliamoci con foto e video di Sarkozy che si avvia verso il carcere, mano nella mano con Carla, mentre il pubblico canta la marsigliese, lui risponde “merci” e si fa almeno qualche giorno in cella. Come gli altri. Una bella sconfitta che ripaga di mille vittorie presunte. Un “sono innocente” molto più credibile di tanti “sei colpevole” che ci rinfacciamo l’un l’altro.

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