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80 anni dopo Norimberga

Norimberga? Quello che può essere considerato il primo maxi-processo della storia si conclude solo dopo ben dieci mesi di dibattimento. Quanto difficile sia fare giustizia lo raccontano dettagliatamente alcuni libri letti da Tullio Fazzolari

L’accusa di genocidio e di crimini verso l’umanità viene pronunciata per la prima volta nell’aula di un tribunale ottant’anni fa. Il 29 novembre 1945 inizia a Norimberga il processo contro i capi della Germania nazista. Le colpe di quasi tutti gli imputati sono talmente evidenti che la sentenza potrebbe arrivare in tempi rapidi. E invece quello che può essere considerato il primo maxi-processo della storia si conclude solo dopo ben dieci mesi di dibattimento. Quanto difficile sia fare giustizia lo raccontano dettagliatamente alcuni libri. Alcuni sono stati pubblicati di recente come “Il processo di Norimberga. I nazisti e i loro crimini di fronte alla storia” di Paul Roland (Giunti, 256 pagine, 16,90 euro) e “Gli imputati di Norimberga. La vera storia dei ventidue fedelissimi di Hitler processati per crimini contro l’umanità” di Eugene Davidson (Newton Compton, 672 pagine, 12,90 euro). Un resoconto puntuale è “Anatomia dei processi di Norimberga” (Rizzoli, 768 pagine, 17 euro) scritto da Telford Taylor, il magistrato militare americano che fu la mente giuridica del processo. Più difficili da reperire ma fondamentali sono i libri di Giuseppe Mayda tra cui soprattutto “Norimberga 1946-1966” (416 pagine) pubblicato per la prima volta da Longanesi.

A prolungare i tempi del processo contribuirono non poco diversi aspetti controversi. Nonostante la necessità di condannare i crimini verso l’umanità in maniera esemplare fosse già stata concordemente approvata sin dalla conferenza di Yalta, a Norimberga emersero subito divergenze e difficoltà. La stessa credibilità del collegio giudicante venne criticata perché l’Unione Sovietica aveva scelto come proprio rappresentante il giudice che era stato protagonista delle purghe staliniane. Discussioni tanto sterili quanto interminabili riguardarono i militari condannati a morte. Secondo i francesi dovevano essere fucilati ma prevalse il parere dei sovietici: andavano impiccati come tutti gli altri perché con i loro crimini avevano disonorato l’uniforme. Altre perplessità suscitò il fatto che tra gli imputati ci fosse l’economista e banchiere Hjalmar Schacht che i nazisti avevano imprigionato da quasi due anni e che sarà poi assolto con formula piena. Ancor più sorprendente, nonostante le misure di sicurezza apparentemente drastiche, è la possibilità per alcuni detenuti come il vice di Hitler Hermann Goring e Robert Ley di possedere capsule di cianuro con cui suicidarsi. Martin Bormann, forse il più potente e più spietato gerarca nazista, viene condannato a morte in contumacia. Si scoprirà solo nel 1972 che si era suicidato nel 1946 mentre l’Armata rosse occupava Berlino. Leggendo i libri su Norimberga riemerge che in realtà i processi furono tredici. I cosiddetti dodici processi secondari affrontarono le diverse tipologie dei crimini: dai medici che usavano come cavie i prigionieri agli industriali che avevano sostenuto e armato la Germania nazista. Verso questi ultimi il tribunale militare emise condanne un po’ meno severe. Allora come oggi la misura della giustizia la scelgono sempre i vincitori.

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