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I prossimi passi della pax trumpiana (non solo a Gaza)

Fatti, scenari e auspici dopo la tregua fra Israele e Hamas patrocinata da Trump. Il taccuino di Guiglia.

Anche se “del doman non c’è certezza”. Anche se ogni negoziato tra persone che si odiano e si ammazzano può riservare brutte sorprese. Anche se parlare di pace in Medio Oriente – eterno focolaio di guerre -, può sembrare pia illusione, il 9 ottobre 2025 è una data di svolta da scolpire sul calendario.

La svolta di un accordo che pareva impossibile, eppure che è stato raggiunto e firmato tra i recalcitranti e contrapposti governo d’Israele e terroristi di Hamas per merito di un terzo incomodo, che si è dimostrato decisivo per costringere le parti all’impensabile intesa.

Si parla dell’incomodo presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, che noi tutti prendevamo in giro quando si candidava da solo al premio Nobel per la pace -con l’interessato appoggio ed elogio del primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu-, ma che se oggi o l’anno prossimo glielo conferissero sul serio, il Nobel, sarebbe una pura e solenne presa d’atto della realtà. Rappresentando il Paese più potente del mondo sotto il profilo militare ed economico, “Panzer” Trump ha davvero aperto il cammino della pace in Medio Oriente dopo due anni di tremenda e disumana offensiva di Tel Aviv su Gaza. E a due anni dalla terribile e inumana strage del 7 ottobre 2023 in Israele che tale e del tutto sproporzionata reazione armata ha provocato.

Ma rivangare il passato o restare prigionieri del presente in queste ore non conta: conta costruire il futuro. A giorni, pochi, scatteranno il cessate il fuoco, l’ingresso degli aiuti umanitari e la liberazione degli ultimi venti ostaggi israeliani (su 48) ancora vivi nonostante la segregazione e le torture a Gaza in cambio di quasi duemila palestinesi detenuti in Israele.

Poi seguiranno il parziale e graduale ritiro dei soldati israeliani dalla Striscia e l’amministrazione del territorio garantita dagli Stati Uniti e da forze internazionali in vista della gestione dei palestinesi. Ma non più di Hamas, che dovrà consegnare le armi e non avrà più alcun nefasto ruolo nella vicenda.

Basta questa scaletta operativa tratta dai venti punti dell’intesa per capire che siamo soltanto all’inizio (sospensione del conflitto e restituzione dei rapiti sopravvissuti e dei corpi di quelli morti). E che ogni passo successivo dovrà essere gestito con accortezza, e ovviamente da terzi, per non compromettere l’intero e insidioso percorso. Né per dare alle parti l’alibi per rompere tutto, mentre il tutto comincia appena a camminare.

Oltre al necessario intervento del mondo arabo, che peraltro ha finora sostenuto con saggezza e forse persino indirizzato l’interventista Trump fase dopo fase, anche l’Europa è chiamata a fare la sua parte per rasserenare gli animi e garantire la doppia sicurezza. Ai palestinesi che non rischieranno più la morte, la fame o l’espulsione dalla loro terra. Agli israeliani che non avranno più l’incubo di Hamas alla frontiera.

“Siamo pronti all’invio di militari per la ricostruzione”, già annuncia il ministro degli Esteri, Antonio Tajani. Sarà il momento più complicato e tuttavia fondamentale: assicurare una pace duratura dopo una guerra che è durata oltre ogni previsione e tragedia.

Ma la “pax trumpiana” è un buon viatico anche per l’altro orribile conflitto in Ucraina, da 3 anni, 7 mesi e 17 giorni sotto l’attacco di Vladimir Putin. Nulla appare più impossibile dopo la svolta di portata storica a Gaza. Specie se l’America di Donald Trump, come molto lascia supporre, riprenderà il suo posto e farà valere la sua potente politica a fianco dell’Occidente e del Paese aggredito.

(Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza, Bresciaoggi e Gazzetta di Mantova)
www.federicoguiglia.com

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