Avvenire, il quotidiano più a sinistra d’Italia (leggere Diego Motta sul “linguaggio di destra” per credere), ricorda con evidenza i morti sul lavoro, tema che fa notizia ma ad attenzione alta e alternata, data la nostra incostanza e incapacità di concentrarci su più di un argomento alla volta. Adesso, comprensibilmente, è la volta della tregua-pace-accordo-cessate il fuoco in Medio Oriente.
La politica insegue anche il sogno della felicità (soprattutto negli Usa, che nascono in base a un’enorme spinta motivazionale) ma tra la profondità dell’animo umano in cui covano sofferenza e speranza l’agenda quotidiana o di breve periodo del nostro interesse c’è poco spazio. Bisogna trovarlo. Per esempio, Leone XIV ricorda come la pace vera si ottenga soltanto con il perdono: frase facile per un Papa, certo, ma non per questo meno vera. Da qui al perverso tentativo di seppellire sotto critiche e scetticismo il tentativo di Trump, Egitto e altri mediatori (tra cui manca l’Ue) ce ne passerebbe, eppure questo atteggiamento è purtroppo diffuso: a Milano, Bologna e Torino si sono svolti cortei con slogan contro Israele e cartelli che raffigurano Meloni e Netanyahu come Mussolini e Hitler, a Udine previste diecimila persone in piazza per la partita Italia-Israele, ad Assisi la marcia per la pace ha visto la pelosissima partecipazione di Schlein, Conte, Bonelli e Fratoianni.
Non intendiamo sposare la posizione contro le manifestazioni di Giorgia Meloni, anzi ha qualche giustificazione Marco Damilano secondo cui la premier così “tradisce se stessa” e la propria storia. Non speriamo nella deriva autoritaria di Trump che qualcuno paventa. In mezzo però, ripetiamo, c’è uno spazio angusto dove si può cercare una linea ragionevole. Per esempio, il sempre equilibrato ministro Piantedosi esprime preoccupazione per i “vecchi nostalgici della lotta armata” nelle manifestazioni. La ministra Bernini ha scritto ai rettori per ricordare che le occupazioni universitarie pro-Pal ledono il diritto allo studio. Un dato oggettivo, minuto e condivisibile, visto che severità e serietà dello studio sono un valore tradizionale delle sinistre, che dovrebbero preoccuparsi dell’ascensore sociale, dei figli di operati e non dei figli di papà “in kefiah”, per sintetizzare pasolinianamente ed evidenziare un emblematico e nostalgico dettaglio di look (lo fa Antonio Polito).
Se non battiamo gli angolini della ragionevolezza non riusciamo a trovare sofferenza né speranza e continuiamo a seguire la cronaca mainstream dei numeri: 20 ostaggi israeliani, duemila prigionieri palestinesi, decine di migliaia di morti. Peraltro, a proposito di cifre e percentuali, un sondaggio di Only Numbers conferma che l’Italia è spaccata a metà sulle “piazze”, il cui effetto è di conferma e non di conversione delle opinioni. Dovremmo occuparci invece delle persone come Roei Shalev, sopravvissuto al 7 ottobre e suicidatosi due anni dopo, dopo che già l’aveva fatto la madre. O come i genitori morti con il figlio che soffriva di disagio psichico e forse ha incendiato la casa. La salute mentale era oggetto di una giornata dedicata il 10 ottobre: una giornata, appunto, perché la nostra attenzione è molto breve.